C’è il più grande cantiere d’Europa con una storia travagliata. E un patto d’acciaio per raggiungere, finalmente, il lieto fine. È quello fra Intesa Sanpaolo e Prelios su MilanoSesto. Patto d’acciaio sin dal nome. Sull’area che un tempo ospitava le acciaierie Falck nella ex Stalingrado d’Italia e nella compagine societaria di MilanoSesto sono le quote della Iron srl (non a caso) quelle oggi “in mano” alle banche: 84mila azioni ordinarie in pegno a Intesa Sanpaolo, UniCredit e Banco Bpm.
La Iron è di fatto una società emanazione di Prelios, operatore leader anche a livello internazionale sui crediti deteriorati legati al settore immobiliare al servizio del sistema bancario italiano. Direttamente controllata da manager e dirigenti di Prelios. A cominciare dal Presidente, ex banchiere tra i fondatori di UniCredit, leader degli autotrasportatori e degli Aeroporti romani, Fabrizio Palenzona, con il 25% delle quote. Insieme a un altro 25% in mano a Luigi Aiello, General Manager Corporate and Business Development del Gruppo Prelios e le restanti quote, del 10% ciascuna, ad Angelo Cattaneo (Direttore Amministrazione e Bilancio Prelios e amministratore della Iron), Sergio Cavallino (Chief Financial Officer), Nicolò Denaro (Head of real estate acquisitions and asset management) e il Legal and Corporate Affairs, Massimo Marinelli.
I rapporti Intesa Sanpaolo e Prelios (oggi controllata dalla Lavaredo, veicolo che fa capo a Davidson Kempner Capital Management) sono di lunga data. L’ultimo e più importante accordo fra i due attori è stato raggiunto nel 2019. A tutt’oggi in vigore, come partnership strategica sui crediti bancari classificati come inadempienze probabili, i cosiddetti Utp – Unlikely To Pay. Un bagno di realtà dopo la sbornia degli anni Duemila e la stagione post 2008-2011 del mostro da centinaia di miliardi di euro di sofferenze bancarie che si è abbattuto sugli istituti di credito della penisola, non senza responsabilità degli stessi.
Un accordo volto a prevenire il “deterioramento” del credito (l’inesigibilità con necessità di svalutare a bilancio), la gestione dell’eventuale recupero o addirittura un ritorno finanziario attivo. Una partnership che è iniziata con un portafoglio pari a 6,7 miliardi di euro e dalla quale Intesa sta uscendo rafforzata anche alla luce dei nuovi criteri e rapporti necessari per sottostare alle regole della sorveglianza bancaria europea.
La strategia di Intesa Sanpaolo e l’uscita da BreBeMi
Una strategia che la prima banca italiana sta provando, non senza difficoltà, ad attuare sistematicamente. Non tanto, o non solo, negli investimenti immobiliari ma in tutti quelli considerati a rischio, non remunerativi e impantanati nel fango. Basti pensare, a titolo di esempio, a cosa è successo negli ultimi due anni sulle autostrade in Lombardia. Nel 2020 Intesa è uscita completamente da Autostrade Lombarde spa e la fallimentare gestione della BreBeMi, per ironia del destino l’unica autostrada d’Italia senza morti per incidenti automobilistici perché non ci passa nessuno.
Una mossa con cui la banca guidata da Carlo Messina è riuscita addirittura a realizzare una plusvalenza da 65 milioni di euro nel primo anno pandemico che ha coinciso, temporalmente, anche con gli effetti a bilancio dell’incorporazione di Ubi. Il tutto mentre gli altri soci pubblici della società con in pancia l’autostrada Brescia-Bergamo-Milano con convenzione in scadenza nel 2039, Autostrade Bergamasche e l’Argentea Gestioni (la società per le manutenzioni sulla BreBeMi stessa) registravano minusvalenze dalla vendita delle quote alla società spagnola Aleàtica Sau, controllata dal Fondo d’investimento australiano specializzato in infrastrutture IFM Global Infrastructure Fund, che aveva lanciato un’offerta d’acquisto totalizzante.
Esempi? La Città Metropolitana di Milano. Che ha bruciato 1,8 milioni di euro dalla cessione delle azioni accettando l’offerta a 0,446 euro ciascuna per evitare ulteriori diluizioni della già micro partecipazione a causa di aumenti di capitale ulteriori e futuri. La Camera di Commercio di Bergamo si è addirittura defilata dal patto con una dura delibera del 7 giugno 2021. In cui rifiuta l’offerta degli spagnoli sul proprio 0,71 per cento di capitale sociale: 3,3 milioni di azioni contabilizzate a bilancio al valore di 1,01 euro ciascuna. Che sarebbero state vendute agli spagnoli per 1,4 milioni di euro generando “un’insussistenza dell’attivo di 1,8 milioni rispetto ai valori patrimoniali del bilancio camerale” ha scritto il Presidente della CCIAA bergamasca, Carlo Mazzoleni. Solo esempi. Di chi vince e chi perde.
Il rapporto Intesa Sanpaolo-Prelios
Ma tornando al rapporto con Prelios si può risalire indietro nel tempo: nel 2013 è venuto meno il Patto Parasociale su Prelios spa, sottoscritto proprio da Intesa Sanpaolo con Camfin e Massimo Moratti. Nel 2015 c’è stato il piano di ristrutturazione e riscadenziamento dell’intera esposizione bancaria per quanto riguarda Prelios sgr, la società di gestione del risparmio del gruppo, oltre ad ulteriori concessioni di credito. Nell’anno successivo si sono dovuti rettificare i valori di alcuni investimenti azionari fra cui proprio Prelios per 9 milioni. Nell’estate 2017 è partita la cessione di tutte le azioni detenute da Intesa, Pirelli, UniCredit e Fenice alla sopra citata Lavaredo e così, dopo un anno di “pausa”, si è arrivati all’accordo del 2019 che ha trasformato Prelios nel principale attore nel servicing per crediti e gestione di inadempienze possibili o probabili per conto della Banca. Una lunga stagione di pulizie.