L’agenda economica del presidente americano Joe Biden punta innanzitutto a risollevare il tessuto produttivo statunitense, ma i suoi piani industriali offrono possibilità di investimento anche ad aziende straniere, in genere, e italiane, in particolare. Il mega progetto denominato “Build Back Better”, che comprende sia il piano per le infrastrutture da 1.200 miliardi di dollari che la “reconciliation bill” da 3.500 miliardi destinati a welfare e clima, va a toccare una nutrita serie di settori dell’economia e dell’industria Usa. Si va dalle infrastrutture in senso stretto – strade, ponti, autostrade, condutture idriche, produzione energetica – fino a servizi destinati alle famiglie che vanno dall’istruzione alla sanità, passando per il credito e le assicurazioni. Insomma, quello di Biden è un piano davvero ambizioso, nel quale anche le imprese del Bel Paese possono far breccia.
Biden e il piano infrastrutture monstre
Forse troppo ambizioso, in realtà. “Il piano per le infrastrutture di Biden è talmente grande, ambizioso e accelerato che probabilmente il sistema americano non ha al suo interno tutte le risorse necessarie a implementarlo”, spiega a True News da New York Lucio Miranda, presidente di ExportUSA. Si tratta di una consulting che affianca centinaia di imprese italiane e del resto d’Europa nel loro sviluppo negli States, operando principalmente nei settori di beni industriali, macchinari, infrastrutture. “Parliamo di automazione industriale, macchinari e componentistica che l’America avrà sicuramente necessità di importare per implementare questo piano”, puntualizza Miranda. “Questo – aggiunge ancora – creerà una corrente di import-export fra Stati Uniti, Italia e il resto d’Europa. Considerato, però, che in questi settori sono Italia e Germania a fare la parte del leone in Europa”.
Stando ai dati ufficiali, negli Usa sono presenti oltre 1.200 aziende italiane, concentrate principalmente nella regione nordorientale (36,5%). Seguono il Sud (30,4%), il Centro Nord (21,4%) e l’Ovest (11,7%). In termini settoriali la presenza maggiore riguarda i settori meccanica e mezzi di trasporto (35,1%), arredamento-edilizia (15,5%), moda (11,9%), servizi (11,7%) e agroalimentare (8,6%).
Usa-Cina, una sfida sotterranea
Il piano messo a punto dalla Casa Bianca mira a raggiungere obiettivi sia di carattere domestico che geopolitico. Biden è stato molto chiaro da questo punto di vista, sottolineando in ogni occasione possibile che le infrastrutture – intese in senso ampio – sono il terreno di gioco in cui vincere la sfida con la Cina. “Nel settore delle ferrovie cargo statunitensi il 22% dei lavoratori è stato licenziato negli ultimi anni e il comparto procede al minimo da allora”, argomenta Miranda. “E’ evidente che c’è un problema con le infrastrutture”, aggiunge.
Infrastrutture, il piano di Biden è fermo alla Camera
Anche se il pacchetto è attualmente bloccato alla Camera – la presidente Nancy Pelosi spera che passi entro il 31 ottobre – i tempi di concreta realizzazione dei bandi e dei contratti potrebbero essere ancora più lunghi. Prendiamo il caso del settore relativo all’elettricità. “Alcune misure prevedono che il segretario all’Energia entro sei mesi definisca norme e indicazioni per concedere prestiti o denari a fondo perduto che saranno allocati direttamente dai singoli Stati”, spiega Andra Noris, Senior Associate at Marazzi & Associati, un operatore nel settore dell’internazionalizzazione che affianca le imprese nel processo di penetrazione dei mercati esteri.
Il piano di Biden? Fa gola alle aziende italiane
Ma come funziona esattamente? Qual è la ricetta che le aziende italiane devono seguire per accedere ai fondi messi in campo da Biden? Prendiamo il caso di una misura da 15 miliardi di dollari, prevista nel piano, per la realizzazione delle tubature in piombo. “Va sostanzialmente a incrementare i finanziamenti ai programmi di prestito – sottolinea Noris – prevedendo anche una quota di fondo perduto chiamata Drinking Water Revolving fund, e saranno destinati a impianti idrici, comunità, utilities, e scuole per la realizzazione di tubature in piombo”. Quello che bisogna fare è “andare a individuare le utilities negli Stati di interesse e gli strumenti per partecipare alle gare”, prosegue. “Il consiglio che possiamo dare alle aziende, soprattutto quelle piccole, è quello di identificare partner locali con cui fare squadra per la partecipazione alle gare, in modo da monitorare i tender nei vari Stati”, conclude Noris.
Nondimeno, Biden e gli esponenti della sua amministrazione hanno presentato l’agenda economica all’insegna del “Buy American”. Non si tratta solo di uno slogan, ma di una legge varata ai tempi di Franklin Delano Roosevelt per limitare l’acquisto di prodotti finiti stranieri per commesse pubbliche. La norma è in vigore ancora oggi, ma non rappresenta un ostacolo insormontabile per le imprese straniere che vogliono investire negli Usa. “Il ‘Buy american’ si applica agli appalti federali, che devono avere una percentuale di produzione americana, ma non tutto il piano infrastrutture sarà gestito a livello federale”, puntualizza Miranda. “Se ad esempio devo vendere un impianto da 100 milioni di dollari – prosegue – e dentro ci ho messo quattro macchinari italiani del valore di 8 milioni di dollari, il ‘Buy american’ ci sta tutto”.
Infrastrutture e cybersecurity, la competitività del Made in Italy
Ma quali sono i settori in cui il Made in Italy potrebbe far meglio e aggiudicarsi qualche commessa? Secondo Noris, “per quanto riguarda le infrastrutture fisiche come ponti, strade e autostrade ci sono già molti contractor italiani che già lavorano in loco e possono portare anche la filiera italiana in quest’ambito”. Ma ci sono ampi spazi di manovra per quello che riguarda le telecomunicazioni, con l’istallazione della fibra ottica e tutto ciò che concerne la cybersecurity. Un settore che sta molto a cuore all’amministrazione Biden, complici i recenti attacchi ramsomware a infrastrutture strategiche per il paese.
Politicamente parlando, quella inaugurata da Biden sembra un’inversione di tendenza per quello che riguarda i rapporti tra governo e imprese. “E’ un approccio che possiamo definire keynesiano – argomenta Miranda – con lo Stato che interviene direttamente non solo finanziando ma anche indirizzando i fondi verso gli obiettivi che intende raggiungere”. Invece all’epoca del suo predecessore, Donald Trump, la politica industriale di basava principalmente nell’erogazione di un sostegno o di un incentivo alle imprese – spesso agevolazioni sul fronte fiscale – aspettando che poi il mercato facesse il resto.