L’Inter sogna il nuovo stadio, festeggia sul campo il ritorno nel gotha d’Europa e sportivamente non declina nonostante l’estate di cessioni eccellenti. Ma il futuro è grigio e presenta molte incognite. La stretta di Xi Jinping sugli investimenti all’estero può frenare Zhang e Suning? E c’è una vera e propria “ombra” americana dietro i padroni del club neroazzurro?
La crisi di Suning
Per rispondere a queste domande bisogna partire dal principio. Fino a poco tempo fa, bastava camminare in una delle strade principali di una qualsiasi megalopoli cinese per imbattersi in un logo inconfondibile: un piccolo leone giallo affiancato da quattro ideogrammi cinesi, talvolta tradotti nell’alfabeto latino Suning. Televisori, frigoriferi, lavatrici, prodotti di elettronica e high tech, ma anche servizi software. E ancora: la manutenzione e l’installazione di micro-computer e apparecchi elettronici. Chi entrava in un negozio Suning usciva sempre soddisfatto, non solo per la qualità della merce offerta ma anche per l’ottima attenzione riservata ai clienti, cosa non sempre scontata in Cina.
Investimenti sbagliati e diktat del governo cinese: binomio letale
Oggi, la creatura fondata nel 1990 da Zhang Jindong deve fare i conti con una crisi economica che ha costretto il gruppo a rivedere le proprie strategie di mercato. Perché puoi essere grande quanto vuoi, controllare circa 1.700 negozi in oltre 700 città sparse tra Cina, Hong Kong e Giappone. Puoi controllare, tramite la scatola Suning Holdings Group, svariate società attive in differenti settori economici, quali lo sport, il real estate, i servizi finanziari e la logistica. Puoi anche vantarti di aver acquistato l’Inter, uno dei club calcistici più importanti d’Italia e del mondo, ed esser soddisfatto per essere riuscito a vincere lo scudetto al primo colpo. Ma nessuno può fare miracoli di fronte al binomio letale formato da investimenti sbagliati e diktat del governo cinese, il tutto contornato dalla pandemia di Covid-19. Neppure mister Zhang, uno degli uomini più ricchi della Cina, per la precisione il 28esimo (403esimo al mondo), con un patrimonio stimato da Forbes in 4,1 miliardi di dollari.
Il traballante impero Suning
Zhang Jindong è il classico businessman con caratteristiche cinesi. Nato nel 1963 nella provincia di Anhui, la storia del presidente e fondatore di Suning è figlia della folle crescita economica cinese, una crescita che ha premiato le menti più intraprendenti e brillanti e scottato i tanti che non sono stati in grado di adattarsi al cambiamento. Dopo una laurea in letteratura cinese, Mr Zhang inizia a lavorare in una fabbrica di tessuti finché, sulla scia delle riforme economiche varate dall’allora presidente cinese Deng Xiaoping, decide di aprire un rivenditore di condizionatori d’aria Suning in quel di Nanchino assieme a suo fratello. In seguito, rimasto da solo, sceglie di mettersi in proprio.
Dalla metà degli anni Duemila una crescita esponenziale
Dalla sua fondazione alla prima metà degli anni Duemila, Suning è cresciuta a vista d’occhio. È impossibile tratteggiare in poche righe il suo sviluppo, dunque ci limitiamo a fissare gli step più importanti. Nel 2004 viene quotata in borsa, nel 2013 diventa la prima società straniera del suo settore a operare nella Silicon Valley, mentre un anno più tardi è leader del mercato cinese dei prodotti elettronici. I tempi sono maturi, e Suning non è più una semplice catena di negozi di elettronica. È il tentacolo commerciale di una piovra ben più grande, Suning Group, uno dei fiori all’occhiello della nuova Cina di Xi Jinping. Basta leggere i dati della holding, la seconda società privata più ricca della Repubblica Popolare cinese, per capire di cosa stiamo parlando. Se nel 2010 il fatturato della galassia Suning ammontava a poco più di 20 miliardi di euro, nel 2011 questa cifra era già schizzata a 25, per poi salire in maniera esponenziale fino a raggiungere i 72 miliardi di fatturato nel 2018, i 77 del 2019 e gli 85,57 del 2020. Nel 2019 il suo utile netto era pari a 9,2 miliardi di euro.
Suning, nubi all’orizzonte?
Se negli ultimi anni il gruppo è andato incontro a un espansione aggressiva – comprando, ad esempio, i centri commerciali Wanda e la branca cinese di Carrefour oltre la Muraglia, entrambi nel 2019 – recentemente l’impero di Zhang ha dato la sensazione di contrarsi. Per capire le dinamiche interne di Suning bisogna innanzitutto chiarire che stiamo parlando di un gruppo formato da molteplici società, spesso tra loro incrociate. L’avvento del Sars-CoV-2, che ha spinto le autorità a imporre blocchi e lockdown un po’ in tutto il mondo, ha provocato una brusca frenata nell’economia globale. Ma l’emergenza sanitaria ha avuto sul colosso cinese lo stesso effetto della classica goccia che fa traboccare il vaso. In altre parole, il virus non è la causa principale delle difficoltà di Zhang.
Il crollo delle vendite dei negozi fisici ed il sostegno ad Evergrande
Detto questo, nonostante l’ascesa dell’e-commerce durante il periodo di lockdown, e nonostante il fatto che il 60% del fatturato di Suning venga proprio dalla vendita online, le entrate complessive di Suning nel corso del 2020 sono scese del 10% a causa del crollo delle vendite nei negozi fisici. Aggiungiamo alcune scelte di Zhang non propriamente felici, come quella di dare sostegno a Evergrande, colosso cinese del real estate finito in malora, e il gioco è fatto, probabilmente su richiesta esplicita delle autorità cinesi. Risultato: nella Borsa di Shenzhen le azioni di Suning.com (una delle parti più importanti del gruppo Suning) hanno toccato i minimi dal 2014, Zhang ha perso in un anno il 30% del suo patrimonio personale e la holding è stata costretta a chiudere centinaia e centinaia di negozi in Cina.
Crisi di liquidità ed acquisizioni sbagliate
Il core business della galassia di Suning è Suning.com, la rete di negozi che, come abbiamo visto, è sempre più traballante. Qualche mese fa, due entità di investimento statali cinesi di Shenzhen (Shenzhen International Holding e Shenzhen Kunpeng Equity Investment Management) hanno messo sul piatto circa 2,3 miliardi di dollari per tentare il salvataggio, ma questa somma è stata considerata insufficiente per mettere in sicurezza l’intero gruppo. A quanto pare, secondo quanto svelato dalla testata cinese Caixin, esperta in affari economici, servirebbero molti più soldi per coprire i 2,45 miliardi di dollari di debiti di Suning.com, da aggiungere ai 30,7 miliardi di dollari accumulati dall’intero gruppo. Detto altrimenti, il gruppo fondato da Zhang è finito in una crisi di liquidità per due ragioni. La prima: aver utilizzato fondi massicci per alimentare acquisizioni su acquisizioni (Inter compresa) mentre il core business del gruppo iniziava a perdere colpi. Tra il 2015 e il 2019 Suning.com (ripetiamo: da non confondere con il gruppo Suning per intero) ha infatti investito 11 miliardi di dollari per varie acquisizioni.
La seconda: usare la vendita degli asset per rafforzare i profitti. Già, perché i compratori degli asset di Suning non erano altro che affiliate non quotate della stessa Suning o gli Zhang in persona. Il meccanismo ha retto fino a quando gli asset non sono arrivati al limite.
Lo sport tra i settori che hanno bruciato più fondi
Tra i settori che più hanno bruciato fondi dobbiamo segnalare quello dello sport. PPTV, la piattaforma di trasmissioni sportive acquistata da Suning nel 2013 ha speso miliardi e miliardi per acquistare i diritti dei campionati di calcio di vari Paesi europei. E poi c’è l’Inter, prelevata al 70% nel 2016 per circa 270 milioni di euro, che ha costretto il gruppo a investire altri centinaia di milioni in un gioco sempre più a rischio elevato. Suning ha messo le mani sull’Inter mediante Suning Holdings Group, vedendo nel club di Milano una sorta di albero portabandiera per l’azienda, che ambiva ad avere un’immagine di successo anche sul palcoscenico occidentale. A differenza di altre operazioni cinesi, la mossa di Zhang non faceva parte di un progetto di vanità o di una strategia per riparare una cattiva immagine pubblica. Suning ha realmente investito nell’Inter, spendendo oltre 200 milioni nelle prime due stagioni, oltre a costruire un nuovo quartier generale e aggiornare il campo di allenamento del club.
Cosa puntava a fare Suning per l’Inter
Il business plan di Zhang era piuttosto chiaro. Essendo Suning al centro del settore della vendita al dettaglio, un’Inter di successo avrebbe potuto far vendere al gruppo tonnellate di merchandising ufficiale, dalle tazze alle cover per telefoni. Gli accordi televisivi citati e i diritti acquisiti per trasmettere le partite di calcio oltre la Muraglia avrebbero dovuto compensare i costi mediante le entrate pubblicitarie e portare liquidità in cascina. Come se non bastasse, Suning, che già controllava una squadra cinese, Jiangsu Suning, aveva intenzione di collegare l’attività sportiva sotto il tetto di Suning Sports. Ebbene, la scommessa di Suning è evaporata come neve al sole. Il governo cinese, prima desideroso che i suoi businessman investissero nel calcio per trasformare la Cina in una potenza calcistica mondiale, ha gradualmente cambiato idea, temendo che i grandi conglomerati nazionali prendessero in prestito troppo denaro minando il sistema finanziario del Paese. Dovendo scegliere chi salvare tra il sogno calcistico e la Cina, Pechino ha ovviamente scelto la seconda. Senza più avere il vento in poppa, e con operazioni che si sono poi rivelate dannose, Suning si è ritrovata con l’acqua alla gola. Gli effetti della pandemia, dunque, sono soltanto la punta dell’iceberg.
Suning, cessioni per evitare il baratro
Gli esperti ritengono che il gruppo Suning possa vendere segmenti della propria galassia per allontanarsi dal baratro (baratro, per altro, smentito dallo stesso gruppo). L’Inter ha smantellato parte della sua rosa, mentre in Cina si dice che Suning Financial Services Shanghai, il braccio finanziario della holding – lo stesso che nel 2020 ha registrato 307 milioni di dollari di utili – potrebbe essere ceduto, così come il ramo della logistica, finito nel mirino di Alibaba e Jd.com. Il futuro è una grande incognita.
Il nuovo stadio per valorizzare l’asset Inter
Si possono leggere in quest’ottica le accelerazioni nerazzurre sul nuovo stadio meneghino. Zhang ragiona in una maniera paritetica a quella con cui si muove sulla sponda rossonera il fondo Elliott: vedendo l’Inter, cioè, come un asset su cui puntare per la valorizzazione di breve o brevissimo termine. Logico dunque pensare che la conquista del sì da parte della giunta di Beppe Sala a un nuovo stadio di proprietà dei club possa essere una svolta in termini di valorizzazione dell’asset in caso di necessità di liquidazione dell’investimento. Dietro il quale, come successo ai tempi della fugace proprietà cinese del Milan, si stagliano le ombre dei fondi americani.
A maggio Suning ha chiesto un prestito al fondo Oaktree dal valore di 275 milioni di euro per dare fiato per il prossimo triennio alle casse del club, mettendo la proprietà sul piatto come pegno. Considerando che Suning valuta il club intorno a un miliardo di euro (debiti compresi), di fatto il fondo americano di proprietà dei canadesi di Brookfield si assicura la possibilità di acquisire la maggioranza dell’Inter a poco più della metà del prezzo (considerando che ai 275 milioni vanno sommati i debiti del club) qualora Zhang non riuscisse a ripagare gli onorari.
Il miliardario cinese e l’Inter sono tra l’incudine e il martello. Ma a suo modo il “pegno” può significare, in caso di mancata valorizzazione dell’Inter, una strategia per passare di mano il club senza perdere la faccia. A pensar male, diceva Giulio Andreotti, si fa peccato. Ma molto spesso ci si azzecca….
(di Federico Giuliani e Andrea Muratore)