A lanciare la proposta è stato, negli ultimi giorni dell’anno, il giuslavorista Pietro Ichino e già senatore del Partito Democratico, oggi professore di Diritto del Lavoro all’Università di Milano: rendere obbligatorio il vaccino per il Covid-19 negli ambienti di lavoro, tra tutti le aziende ospedaliere, RSA, le scuole. Secondo Ichino, infatti, “l’insegnante che rifiuti di adempiere questa disposizione, se impartita da chi ne ha il potere/dovere, può concordare la sospensione dall’insegnamento (senza stipendio) fino alla fine della pandemia; altrimenti può essere licenziato”.
Una linea dura che è piaciuta a molti, specie dopo gli allarmanti numeri provenienti dal settore ospedaliero dove, secondo Ansa, un operatore su cinque non intende vaccinarsi (solo due operatori su dieci a Pavia, come scrive il Sole 24 Ore). E quindi, mentre si studiano incentivi per chi decide di vaccinarsi, come un “patentino” che consenta maggiori libertà e spostamenti, la voce di Ichino fa proseliti a destra e a manca, arrivando fino a Confindustria Veneto, il cui presidente Enrico Carraro ha detto: “Se da un lato ancora oggi l’INAIL tenta di addebitare surrettiziamente al datore di lavoro il contagio in azienda non si capisce come lo stesso imprenditore non debba utilizzare tutti i sistemi a disposizione per proteggere lavoratori e azienda. Così come si è reso obbligatorio l’uso di dispositivi di protezione individuale e il distanziamento, si potrebbe fare lo stesso quando saranno disponibili vaccini ‘efficaci’.”