I contagi da Coronavirus a lavoro in Italia avrebbero superato quota 131mila. Lo dice un rapporto dell’INAIL (pdf). Il monitoraggio, aggiornato al 31 dicembre 2020, parla chiaro: quelle per il Covid-19 sono state “il 23,7% delle denunce di infortunio pervenute da inizio anno e il 6,2% dei contagiati nazionali totali comunicati dall’ISS”. La seconda ondata ha avuto “un impatto, anche in ambito lavorativo, più intenso rispetto alla prima”, con il 57,6% delle denunce nel trimestre ottobre-dicembre 2020, contro il 38,5% di marzo-maggio scorso. A guidare la classifica è la Lombardia con il 28,4% dei casi sul totale nazionale (37.208 lavoratori contagiati) e la provincia di Milano con 14.493 casi (39% sul totale regionale). Il motivo di questi contagi è presto detto. Secondo l’avvocato Irene Pudda di Rödl & Partner, esperta in privacy & labour compliance: “L’impasse è dovuta al fatto che il datore di lavoro non è autorizzato a comunicare ai colleghi il nominativo di un dipendente risultato positivo. L’azienda è tenuta a fornire all’ATS le informazioni necessarie perché quest’ultima possa assolvere ai compiti previsti dalla normativa emergenziale e, contemporaneamente, ha facoltà di domandare ai possibili contatti stretti di lasciare cautelativamente i locali aziendali, ma è l’ATS che ha la potestà di contattare i lavoratori per poi applicare le opportune misure di quarantena.” Il rischio legato a questo modus operandi è chiaro: che le aziende lascino operativi reparti e uffici lasciando che il virus si diffonda tra colleghi e i familiari di ciascuno a casa. Tra i settori più colpiti troviamo i tecnici per la salute (infermieri, fisioterapisti) con il 38,7% dei casi totali, seguiti dalle professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali (operatori socio-sanitari) con il 19,2% e i Medici con il 9,2%. I Professori di scuola primaria, pre-primaria e professioni assimilate? Solo lo 0,5%. |