Sul rettilineo finale l’inflazione torna a dare una sorpresa ai banchieri centrali del pianeta che pensavano a una seconda metà di 2024 all’insegna di massicci tagli sui tassi e del costo del denaro.
I segnali interessanti tra Usa e Ue
A inizio marzo alcuni segnali sembravano favorire il tema dell’imminente decrescita dei tassi. Come ha riportato il Financial Times, “nell’Eurozona, i dati del quarto trimestre hanno mostrato che i costi unitari del lavoro e i margini di profitto sono aumentati a un ritmo più lento, allentando i timori che le aziende stiano spingendo verso l’alto l’inflazione trasferendo l’aumento del costo del lavoro attraverso aumenti aggressivi dei prezzi”.
Negli Usa, invece, Jay Powell ha dichiarato che “la banca centrale americana non è lontana dall’avere la fiducia necessaria per iniziare a ridurre i costi di finanziamento”.
Come si muovono i mercati
I dati sull’inflazione Usa sembrano, in vista della volata, creare problematiche e asperità. Gli Usa a febbraio hanno infatti presentato un’inflazione sopra le aspettative, al 3,2%, e la Fed ha parlato di posticipare da maggio a giugno prima della serie di riduzioni dei tassi previste per l’anno in corso.
I mercati obbligazionari hanno segnalato un apprezzamento dei titoli, col decennale Usa al 4,15% e il titolo a un anno che rende il 4,59%. Ma si segnala, invece, la fase ancora entusiasta dei mercati azionari, di cui su queste colonne avevamo dato conto.
“I mercati rimangono fedeli alla previsione di un possibile taglio dei tassi da parte della Federal Reserve a giugno, con una probabilità stimata intorno al 57%”, commenta Gabriel Debach, Market Analyst di eToro. L’opinione di Debach raccolta da True-News è che “gli investitori, fin dall’inizio dell’anno, hanno ignorato ogni ostacolo emergente, dalle revisioni al ribasso riguardante il percorso di tagli dei tassi, alle crisi nelle banche regionali (come evidenziato dal caso della New York Community Bank)”.
Perché l’inflazione cresce negli Usa
Questo si può spiegare per almeno tre questioni-chiave. In primo luogo, la composizione dell’inflazione americana e dei suoi aumenti, trascinati soprattutto dall’aumento dei costi delle assicurazioni auto (+20,6% su base annua nei dati di febbraio), dei trasporti (+9,9%) e delle polizze sanitarie (+6,1%). Ovvero da fattori esogeni al grande dato generale dell’economia dei consumi e dell’industria. Certo, sul mondo pende ancora la spada di Damocle del blocco del Mar Rosso, a cui però buona parte degli operatori sembrano aver preso le misure.
Il nodo dell’inflazione da profitti
In secondo luogo, l’inflazione residua appare difficilmente aggredibile per via monetaria tramite ulteriori strette ai tassi, giunti oltre il 5% negli Usa e oltre il 4% in Europa. Il Center for Economic and Policy Research segnala il peso residuo dell’inflazione da profitto (o da avidità, greedflation) nell’alimentare alla base il costo del denaro.
I profitti aziendali negli Usa sono al 26% del reddito totale, in calo rispetto al massimo del 28% di due anni fa ma ancora sopra la quota del 24,9% del 2019, anno pre-pandemico. Questo mostra un consolidato residuo della tendenza a scaricare sui consumatori i prezzi delle merci e dei beni che nessuna politica monetaria può contenere.
Rally dei mercati e frenesia da Ia
Last but not least, nella mossa dei mercati in controtendenza con le ultime nubi su tassi e inflazione c’è, nota Debach, “la frenesia alimentata dall’intelligenza artificiale (AI). Nomi come Oracle e Nvidia hanno registrato notevoli rialzi, indicando un interesse elevato nei settori legati all’intelligenza artificiale” e dando una seconda coda al boom che aveva favorito aziende come Microsoft tra fine 2023 e inizio 2024. Insomma, l’inflazione c’è ma in un’economia con fondamenti solidi. Per buona parte dei mercati l’aspettativa è che il peggio sia alle spalle. E nessuno, ad oggi, sconta nelle sue scelte idee di futuri, ulteriori rialzi dei prezzi dopo il triennio di stretta a cui abbiamo assistito.