Perché questo articolo potrebbe interessarti? Fumata bianca per l’accordo tra Ita e Lufthansa: scongiurato un futuro fallimento della compagnia italiana, ma al prezzo carissimo di rischiare di vedere trasformarsi l’Italia in una periferia.
Chiuso l’accordo, è il momento del brindisi. E poi delle consuete foto a favore di camera e di giornalisti, con tanto di stretta di mano. Giancarlo Giorgetti, ministro dell’economia, Antonio Turicchi, presidente di Ita, e Carsten Spohr, ceo di Lufthansa, hanno definitivamente messo nero su bianco l’intesa tra la compagnia aerea italiana e il colosso tedesco del trasporto aereo. Un accordo arrivato dopo mesi di contatti e contrattazioni e, non ultimo, di perplessità da parte della commissione europea per motivi legati alla concorrenza.
Lufthansa, dopo le strette di mano a margine della conferenza stampa di presentazione del piano, acquisirà da subito il 41% di Ita Airways, le cui azioni erano interamente detenute dal Tesoro. Progressivamente tuttavia, nel giro di pochi anni, i tedeschi acquisiranno l’intero pacchetto e controlleranno del tutto la nostra compagnia aerea.
Addio alla compagnia di bandiera
Il partenariato con Lufthansa per l’Italia vuol dire, in primo luogo, rinunciare definitivamente all’idea di avere una compagnia di bandiera. Dopo il fallimento di Alitalia e l’avvio di Ita Airways, Roma alza bandiera bianca e accoglie le insegne dei nuovi partner tedeschi. Sotto il profilo politico, sorge forse la polemica relativa all’opportunità, dopo la cessione di Tim a una compagnia Usa, che un governo sedicente sovranista consegni una compagnia di bandiera a un colosso straniero.
Ma al di là delle considerazioni di natura marcatamente politica, la fine definitiva dell’idea di avere un portabandiera nel mercato del trasporto aereo pone questioni di rango più pratico e pragmatico. A partire dal fatto che, senza una propria compagnia, il governo perde per sempre la possibilità di incidere sul mercato domestico.
Senza Ita è tutto in mano al mercato
E questo è un problema non da poco in una fase, come quella attuale, in cui i cambiamenti del mercato internazionale del trasporto aereo hanno portato a un innalzamento dei prezzi e a tariffe sempre più elevate per i contribuenti. Un concetto quest’ultimo ripreso già la scorsa estate da uno dei maggiori esperti italiani di traffico aereo, il manager Paolo Rubino: “Rinunciare a una compagnia di bandiera – ha scritto l’11 agosto 2023 su Startmag – significa rinunciare consapevolmente ad avere uno strumento industriale nazionale cui “ordinare” di servire destinazioni domestiche sfavorite dalla geografia o immature per sviluppo economico e di farlo a prezzi calmierati facendosi carico delle eventuali perdite”.
In poche parole, una compagnia di bandiera può avere uno sguardo anche all’utilità sociale del volo e non solo a quella industriale. Al contrario, difficilmente in Germania dalla sede di Lufthansa guarderanno a dinamiche diverse dal profitto nel momento di decidere le rotte su cui operare e i prezzi da applicare. L’unico attore di fatto rimasto in campo, con la vendita di Ita, è il mercato. Con tutte le conseguenze possibili.
I possibili danni legati al turismo in Italia
La scorsa estate si è avuto un principio di braccio di ferro tra il governo italiano e Ryanair, la principale compagnia low cost europea che da anni è prima nelle classifiche relative al mercato aereo nella nostra penisola. Oggetto del contendere erano i prezzi alti e il decreto con il quale l’esecutivo di Roma ha puntato il dito contro gli algoritmi che decidono le tariffe.
Per tutta risposta, il ceo di Ryanair, Eddie Wilson, si è tolto qualche sassolino dalla scarpa commentando a suo modo l’iniziativa del governo italiano: “Cari italiani – ha commentato in un’intervista rilasciata nel bel mezzo della querelle con Palazzo Chigi – comprate subito qualche guida di Monaco e Francoforte. Due città che i viaggiatori italiani conosceranno presto molto bene. Non avrete più voli intercontinentali diretti dal vostro Paese. Sarete sempre costretti a fare tappa in Germania”.
Tutto ruota intorno a Francoforte
Una battuta volta a sottolineare le condizioni del mercato italiano, contenente però un fondo di verità. Ha fatto notare ancora Paolo Rubino che, così come facilmente intuibile, i tedeschi di Lufthansa non avranno molta voglia di rendere Fiumicino e Malpensa i propri hub principali per le rotte extraeuropee: “Lufthansa – si legge sempre su Starmag – deve garantire la più potente rete di collegamenti per i residenti in Germania senza nuocere all’antico hub di Francoforte”.
Le varie acquisizioni fatte dal colosso tedesco dunque, serviranno soltanto a dare linfa a questo storico e strategico obiettivo dell’azienda. Anche se nelle scorse ore Giorgetti ha rassicurato che nei piani di acquisizione di Ita sono previste le rotte intercontinentali da e per l’Italia, a preoccupare sono le dinamiche di lungo periodo: più si andrà avanti e più, per vedere il Bel Paese, si dovrà fare un salto dalla Germania. Con possibili non poche ripercussioni sul turismo, tra le voci principali del Pil della penisola.
Ita a Lufthansa? Una scelta obbligata
Al netto delle considerazioni sopra espresse, occorre anche sottolineare che per molti analisti economici la scelta del governo è stata l’unica possibile. Ita, creata dalle ceneri di Alitalia, non sarebbe sopravvissuta a lungo: le sue ridotte dimensioni tra non molto l’avrebbero trasformata in un vettore di debito al pari (e forse più) della compagnia precedente.
La partita di Roma cioè non è stata persa oggi, ma già svariati anni fa. Quando Alitalia ha iniziato ad accumulare perdite e nessun governo a cavallo dei due secoli ha saputo arginare la situazione. Così facendo, il nostro Paese si è ritrovato con una compagnia colabrodo e del tutto inadeguata a competere in Europa. Nel Vecchio Continente intanto, proprio in quel periodo, si stavano sviluppando pochi ma grandi hub di settore in grado di diventare gli unici riferimenti del mercato.
Mancando l’aggancio ai più importanti attori del mercato, Alitalia (e l’Italia) sono andati incontro a un destino prevedibile: diventare di seconda fascia e rischiare di essere, tra non molto, una periferia tagliata fuori dai più importanti hub europei.