Per capire la gravità delle conseguenze economiche innescate dalla guerra in Ucraina bisogna partire da un dato. L’Unione europea, e quindi anche l’Italia, dipende fortemente dal gas russo, tanto che nel 2021 ha importato da Mosca circa 155 miliardi di metri cubi, stando a quanto documenta l’IEA, Agenzia Internazionale per l’Energia).
Calcolatrice alla mano, stiamo parlando del 45% dell’import totale di gas e del 40% di tutti i consumi; un numero enorme, troppo alto per poter pensare di staccarsi dal Cremlino senza accusare un pericoloso contraccolpo. È pur vero che la situazione è diversa da Paese a Paese, visto che mentre molti Stati dell’Est Europa dipendono al 100% dal gas russo (è il caso, ad esempio, di Slovacchia, Serbia e Moldova), altri sono tecnicamente più liberi (Spagna e Portogallo, giusto per fare due nomi).
Il caso dell’Italia
L’Italia non può tuttavia dormire sonni tranquilli, considerando che nel 2020 la percentuale di gas russo sul gas importato oscillava intorno al 40%. In altre parole, Roma deve trovare un modo per sostituire la preziosa risorsa energetica proveniente da Mosca onde evitare terremoti letali.
Impensabile riuscirci nell’immediato, difficile immaginare di farlo nel medio periodo. Stilare un piano del genere richiede una complessa preparazione, tanto commerciale quanto diplomatica, che non può essere svolta dall’oggi al domani. A maggior ragione se, come abbiamo visto, l’Italia non sarà certo l’unica nazione chiamata ad imbastire un piano B.
Una possibile soluzione
La concorrenza sarà dunque sfrenata e nessun nuovo accordo sarà scontato. La soluzione più rapida per l’Europa, come ha sottolineato anche Il Corriere della Sera, potrebbe consistere nell’aumentare il gas liquefatto (Lng) trasportato via nave presso i suoi terminali di rigassificazione. Da questo punto di vista, il fornitore numero uno dell’Europa nel 2020 è stato il Qatar (30 miliardi di metri cubi), seguito da Stati Uniti (25,6), Nigeria (14,6) e Algeria (14,6).
Il condizionale però è d’obbligo, perché resta da sciogliere un importante nodo: quello relativo alla carenza infrastrutturale. Senza adeguate infrastrutture è infatti impossibile sostituire il gas russo anche nel caso in cui Roma stringesse accordi più che favorevoli. L’Italia, per la cronaca, può contare su tre rigassificatori (Panigaglia, Livorno e Cavarzere), mentre il gas russo entra in Europa attraverso la Bielorussia (con Yamal), l’Ucraina (con Sojuz), il Mar Baltico (Nord Stream 1), il Mar Nero (Blue Stream e Turkish Stream), oltre alle navi di metano.
Africa, Medio Oriente e Asia
La mappa del gas globale parla chiarissimo. Restando in Europa, e togliendo la Russia, la Norvegia è il secondo fornitore del continente. Peccato che da Oslo hanno fatto sapere che la loro produzione di gas non potrà crescere, almeno non in tempi brevi. Lo stesso discorso può essere applicato ai fornitori italiani, ossia Algeria, Libia, Olanda e Azerbaigian. A questo punto è interessante allargare la visuale all’intero pianeta per accendere i riflettori sulle aree di maggiore interesse.
In Africa bisogna monitorare con attenzione la situazione relativa ad Algeria, Libia, Nigeria e Mozambico. Quest’ultimo, mediante una pipeline locale, foraggia il Sudafrica di 3,7 miliardi di metri cubi di gas, mentre Libia e Algeria ne dirottano, con le stesse modalità, rispettivamente 4,2 e 21 miliardi verso Spagna ed Italia, ai quali vanno aggiunti altri 13,9 miliardi di gas liquefatto algerino spedito via nave.
In Medio Oriente la parte del leone viene giocata dall’Arabia Saudita che esporta LNG in Europa orientale (30,3 mld), nel Sud-Est asiatico e in Asia (decine e decine di miliardi, suddivise tra Cina e altri Paesi). L’Iran sostiene la Turchia con circa 5 miliardi di metri cubi di gas, così come la Russia e l’Azerbaijan.
In Asia la Cina assorbe ingenti quantità di gas dal Medio Oriente, dal Myanmar (circa 4 miliardi) e ovviamente dalla Russia, con la quale Pechino ha stretto recenti accordi energetici. In America Latina è curioso il caso della Bolivia, che distribuisce gas in Brasile (6,2 miliardi di metri cubi) e Argentina (5,2).
Gli Stati Uniti come player del futuro?
Spostandoci più a nord, è ancora più curioso il caso degli Stati Uniti. Non tanto per esportare gas in Messico (54,3 miliardi di metri cubi) o importarne dal Canada (quasi 70), quanto per spedirne in Asia, proprio nell’area di mondo che sta mettendo in discussione il suo primato economico nazionale. Le esportazioni statunitensi di Gnl in Asia sono aumentate del 67% nel 2020 rispetto al 2019, rappresentando quasi la metà di tutte le esportazioni di Gnl degli Stati Uniti.
Washington ha esportato gas liquefatto in Europa per quasi 26 miliardi di metri cubi nel 2019. Ma la domanda che molti analisti si fanno è: riuscirà il gas americano a far davvero dimenticare all’Europa il gas russo? La risposta, almeno per quanto concerne il medio-lungo periodo, non può che essere negativa.