L’8 febbraio scorso sono state approvate le modifiche degli articoli 9 e 41 della Costituzione. Anche in Italia viene riconosciuta la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli animali come principi fondamentali della Suprema Carta. Un diritto che continua a non trovare attuazione nel nostro paese.
Tiger business
Il primo maggio un reportage di LAV “Mercanti di Tigri” (Lega Anti-vivisezione) accende un faro su fenomeno finora misconosciuto. Gli agenti in incognita riescono a riprendere di nascosto un allevamento di tigri situato a Latina. Il responsabile, un circense che mostra fiero un quadro di Benito Mussolini appeso al muro, spiega loro che è possibile acquistare o noleggiare uno dei grossi felini con una certa facilità. Sono sufficienti 3.000 euro (ovviamente anche a nero) e una licenza per mostra itinerante (che sembrerebbe possa prestare lui stesso).
A dire “tiger business” molti potrebbero pensare a Tiger King di Netflix. E invece si scopre che Latina è l’epicentro di un mercato dei felini esotici italianissimo. Tre anni fa dieci tigri, provenienti dal capoluogo pontino, furono bloccate alla frontiera tra Polonia e Bielorussia. Le povere vittime viaggiavano in condizioni tutt’altro che idonee. Una di queste, trovata in fin di vita morì poco dopo l’intervento delle autorità. Le altre vennero affidate a uno zoo e poi a un rifugio in Spagna. “Non potranno mai essere delle tigri normali, che vivono in natura” – spiegano i nuovi custodi dei felini alle telecamere di LAV – “ma abbiamo lavorato molto per far sì che possano essere più tigri possibili”.
Il traffico in Italia
Secondo le associazioni animaliste l’Italia spicca in Europa per il commercio di tigri. Tra il 1999 e il 2017 abbiamo importato e esportato 469 capi. L’85% delle tigri “commerciate” nascono in Europa, essendo consentita la riproduzione in cattività dei grandi felini. Le tigri libere in natura sono appena 3.900, quelle che passano la vita in cattività sono oltre il doppio, 8.100.
La LAV stima che i cittadini europei posseggano circa 500mila animali di provenienza esotica, con tutti i pericoli che ne conseguono. Il traffico incontrollato di specie sradicate dai loro habitat naturali comporta degli alti rischi per la salute umana rappresentati in primis dalle malattie che si trasmettono dagli animali all’uomo. Oltre al Covid-19, un altro coronavirus sta già mietendo vittime umane: il Mers-cov o influenza dei cammelli; ma sono tanti gli esempi di zoonosi noti (la Sars nel 2002, l’HIV, l’Ebola, l’influenza aviaria).
Non solo animali esotici
Simili rischi, peraltro, non derivano solo dal traffico di animali esotici. Anche il miglior amico dell’uomo è considerato alla stregua di beni di consumo dal contrabbando. Il web straripa di annunci che promettono “cani di razza a buon prezzo”. Il primo febbraio scorso la guardia di finanza ha fermato un’organizzazione criminale dedita al traffico di cuccioli in zona Castelli Romani. Allevamenti senza autorizzazioni e privi di idonee condizioni igienico sanitarie, cani senza pedigree e microchip (obbligatorio prima della vendita), ma non solo.
I cani spesso nascono nei Paesi dell’Est Europa e vengono poi venduti in Italia con falsi documenti. I cuccioli, anche se ancora troppo piccoli per essere allontanati dalla madre, affrontano un viaggio nei doppi fondi camion che può durare oltre 12 ore. Il prezzo che riescono a ricavare i trafficanti consente di ammortizzare il fatto che quasi la metà di questi cuccioli muoia durante il viaggio, perché sprovvisto delle difese immunitarie. A sterminarli, sono malattie come come il cimurro e la parvovirosi, talvolta anche la rabbia, pericolose anche per gli umani.
Il traffico illecito non si ferma agli animali da “compagnia”. È un fenomeno molto ampio che tocca anche gli animali “da reddito” (che finiscono sulle nostre tavole) e quelli utilizzati per la caccia, come gli uccelli da richiamo, nonché la pesca illegale. Ancora, le lotte clandestine, le corse illecite, il traffico di avorio e altri “pezzi” di animali ricercati, sono l’epilogo di un mercato illecito portato avanti da troppo tempo da individui (quantomeno) spregiudicati.
Ecomafia
Chi prende parte a questi traffici non rischia molto, spesso paga un’ammenda e via. L’acquirente, invece, si libera da ogni responsabilità dichiarando che non sapeva che il “bene” derivasse da un circuito illecito. Questo perché il quadro normativo a tutela degli animali è ancora molto debole. Nonostante la riforma costituzionale, la natura giuridica degli animali non è cambiata essendo ancora considerati una “res”, oggetto ma non soggetto di diritti. La tenue risposta sanzionatoria, oltre a non intimidire gli avventori, fa sì che le forze dell’ordine agiscano con le armi spuntate. Secondo il codice di procedura penale infatti, i mezzi di indagine più potenti come le intercettazioni sono attuabili solo a fronte di ipotesi di reato gravi.
Eppure, come ricorda Legambiante nel suo rapporto sull’Ecomafia, i reati che ruotano attorno al traffico di animali si inseriscono non di rado in fenomeni più ampi di illegalità, spesso legati alla criminalità organizzata. Si è stimato, inoltre, che il traffico di animali produca volumi di affari di diversi miliardi di euro l’anno. Non a caso, la tematica è divenuta ormai oggetto di studio da parte della commissione parlamentare anti mafia.
Infine, se la simpatia verso gli animali, il rischio di zoonosi, la sicurezza alimentare e la lotta alla mafia non fossero sufficienti a convincere sulla necessità di un inasprimento del quadro normativo, vale la pena ricordare che i maltrattamenti verso gli animali sono da sempre considerati dagli esperti degli indici rivelatori di personalità violente anche verso i propri simili (i.e. gli umani). Emblematico in tal senso il caso riportato nel dossier Ecomafia dei bracconieri sardi arrestati nel cagliaritano per aver, tra l’altro, fabbricato armi illegali, appiccato cinque incendi fra il 2016 e il 2018 e programmato di uccidere due agenti della forestale che stavano indagando sul traffico illegale di selvaggina.
Un crimine impunito
La risposta delle istituzioni alle denunce delle associazioni ambientaliste appare quanto mai lenta. Sul rischio di diffusione delle malattie, nel 2016 l’Unione Europea ha emanato il Regolamento n. 2016/429 (Animal Health Law), per fissare le norme per la prevenzione e il controllo delle malattie degli animali trasmissibili agli animali o all’uomo. L’intento è quello di irrigidire il quadro normativo relativo al mercato degli animali, insistendo, in particolare, sulla tracciabilità degli esemplari e dei prodotti da essi derivati. Il 6 maggio scorso il governo ha approvato ben tre decreti preliminari di adeguamento al regolamento (il termine per farlo scadeva domenica 8 maggio), ai quali seguirà un lungo e farraginoso iter legislativo e di attuazione che dovrebbe concludersi entro l’anno.
Grazie ai decreti attuativi sarà finalmente proibito l’ingresso e la detenzione di animali esotici sul territorio italiano. In attesa della pubblicazione del testo del decreto, dobbiamo sperare che siano state anche approvate sanzioni efficaci contro chi violerà i divieti di importazione, vendita e riproduzione, così come contro il traffico di specie protette in pericolo di estinzione. Diversamente, potrebbe trattarsi dell’ennesima statuizione di principio o peggio ancora di una norma persecutoria nei confronti nei detentori di “pet esotici” che per sfuggire alla sanzione potrebbero finire per abbandonare l’animale in luoghi inidonei, come paventato dalle associazioni di veterinari ANMVI e SIVAE che hanno definito il divieto “insostenibile”.