La mela non cade lontana dall’albero, nemmeno rimbalzando. E se l’albero metaforico è l’Italia ecco che il “rimbalzo” del Prodotto interno lordo che ha fatto gridare di giubilo qualche analista rischia di smorzarsi molto preso sul suolo. Lo dicono i numeri e il presidente del consiglio Mario Draghi lo sa, essendo meno lui meno realisti del re.
Draghi: “Basta compiacersi dei numeri, è un rimbalzo. Vera sfida crescita Pil 2022”
In conferenza stampa il 2 settembre il premier ha dichiarato: “Non credo valga la pena compiacersi troppo di queste cifre. È vero che sono alte e che non si vedevano da decenni ma è un grande rimbalzo che avviene in tutti i Paesi. La vera sfida nei primi due trimestri del prossimo anno sarà riuscire a mantenere un tasso di crescita considerevolmente più elevato rispetto a prima della pandemia. Là si giudicherà la capacità dell’economia italiana di trasformarsi e diventare strutturalmente più solida”.
I numeri della crescita italiana: realtà o illusione?
I numeri del resto non mentono. La stima del Pil italiano del secondo trimestre confermata viene fissata a +2,7%. Quella “acquisita” per il prodotto interno lordo della penisola per il 2021 +4,7% in linea con il dato di altri Paesi europei che stanno performando bene. Ma sui dati scorporati del trimestre i contributi delle singole componenti dovrebbero far sorridere un po’ di meno: consumi delle famiglie a +2,8% (dopo un anno in cui sui conti correnti degli italiani si sono accumulati decine di miliardi di euro aggiuntivi rispetto al pre covid); spesa pubblica a -0,2%; investimenti a +0,5%; export netto: +0,3% e infine scorte: -0,8%.
Spesa pubblica e occupazione: ancora il tempo determinato?
Più chiari e allarmanti ancora i dati dell’occupazione dell’Istat. Il maxi rimbalzo dell’occupazione viene stimato in 502mila nuovi occupati con rapporti di lavoro da dipendenti conteggiati a luglio 2021 contro luglio 2020. Di questi il 76% sono lavoratori a tempo determinato. Nel complesso in un anno il numero di dipendenti a termine è aumentato del 14,4% contro lo 0,8% del numero di occupati a tempo indeterminato e questo avviene dopo il 2020 pandemico che aveva fatto segnare un crollo degli occupati.
Cala la disoccupazione giovanile? No, è travaso fra disoccupati e inattivi
Alla riduzione della disoccupazione nella fascia 15-24 anni, anche questa venduta come un grande risultato in controtendenza, in pochi segnalano che si tratta di un “travaso” perfettamente speculare fra disoccupati e inattivi. Cioè fra chi ancora il lavoro lo cerca – secondo il campionamento dell’Istituto Nazionale di Statistica – e chi invece ha smesso di cercarlo.
Stagionali, estate record. Le bufale sullo “stare sul divano”
Così mentre crollano le bufale estive sugli “stagionali che non si trovano” a causa del reddito di cittadinanza con i rapporti di lavoro stagionale che nel mese di maggio hanno segnato un record storico (+142 mila), la fotografia reale dell’occupazione nell’Italia vaccinata che torna a lavorare parla chiaro: una grande ristrutturazione a “tempo determinato” del mercato del lavoro e delle filiere. Paragonabile se non superiore a quella introdotta con la liberalizzazione dei contratti a termine del Jobs Act e dei decreti Poletti nel 2014. Del resto basta guardare alla pubblica amministrazione dove anche lo stesso ministro Renato Brunetta forse ora sarà costretto a una marcia indietro: i concorsi, legati o scollegati ai fondi del Recovery Plan, sono tutti per posizioni a tempo determinato. Massimo cinque anni. La continuità lavorativa legata al rispetto di oscure road map e target obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. I concorsi che, talvolta, vanno deserti.
Lo sblocco dei licenziamenti: nessun cataclisma (per ora)
Nota positiva per il Paese invece è che il cataclisma previsto per lo sblocco dei licenziamenti per ora non si verifica. Motivi? Da una parte il rimbalzo connesso alla ripresa dell’attività economica senza regimi di lockdown – e quindi meglio attendere il quadro domestico e globale fra un anno, anno e mezzo – ma dall’altra anche il fatto che le grosse vertenze industriali (GKN, Whirpool, FedEx, ora anche Stellantis) sono legate a problematiche precedenti alla crisi Covid e solo “congelate” in pandemia da cassa integrazione, sussidi a lavoratori e imprese, aiuti.