Mille rider assunti. E un contratto legato al Ccnl della logistica, comprensivo di incentivi, ferie, malattia e maternità/paternità e con la società che mette a disposizione casco, tuta pioggia, giacca ad alta visibilità. In una parola: una rivoluzione. Almeno nel mondo del food delivery scoperchiato in questi anni. “Per noi è un passo importante: i mille assunti sono il 25% dei nostri rider a livello italiano” ha detto al Corriere di Just Eat Italia, Daniele Contini, ufficializzando il primo passo della multinazionale.
Glovo, Deliveroo, UberEats: come si comportano i concorrenti di Just Eat Italia
L’unica nel settore, per ora, ad aver preso questa decisione. Mentre Glovo opta ancora per il sistema a “scelta” del rider, se fare o meno determinati turni e, nel caso, cancellandosi anche all’ultimo secondo dai turni senza penalizzazioni. In Deliveroo e UberEats funziona ancora diversamente: esiste un “free login”, la possibilità cioè di collegarsi alla app per consegnare in qualsiasi momento e senza limiti di tetto orario.
Contratto rider di Just Eat, la mente è il “prodiano” Giampiero Falasca
Dietro la rivoluzione del contratto dei rider di Just Eat c’è la mente raffinata di uno che ne capisce: l’avvocato Giampiero Falasca. Firm internazionale con DLA Piper, già braccio destro dell’ex Ministro nel primo governo Prodi, Tiziano Treu, con cui si è fatto le ossa e fra i più famosi giuslavoristi della penisola, da tempo Falasca è sempre più coinvolto dai big di logistica, facchinaggio e corrieri espressi presenti nella penisola. Una sorta di Mister Wolf di tarantiniana memoria che risolve i problemi. In un mondo del lavoro – la logistica – che rischia spesso di saldare i suoi conti in un’aula di tribunale. Come accaduto per Ubereats e il vero e proprio caporalato con contratti scritta a penna su pezzi di carta.
Il nuovo meccanismo del “contratto Falasca”
Falasca ha creato un meccanismo che – pare – accontenti tutti: la multinazionale, i fattorini, la politica che per qualche anno si è ossessionata con i rider come una forma di feticcio del “lavoro povero” in Italia, tanto da varare tavoli al Ministero dello Lavoro o dello Sviluppo economico, protocolli d’intesa, carte dei diritti come la “Carta di Bologna”. I contenuti del contratto? Fine del cottimo e del pagamento a consegna, con un compenso orario a 8,50 all’ora e per gli istituti di welfare. Milano città “laboratorio” dove testare questa “nuova” forma di lavoro subordinato. Al salario si aggiunge il premio di risultato di 25 centesimi a consegna e l’accantonamento del Tfr, oltre alle maggiorazioni per il lavoro straordinario, festivo o notturno. Un’indennità per chi usa il mezzo proprio. La formazione. In sintesi: tanta roba, rispetto al passato.
Just Eat Italia, cosa non torna nel nuovo contratto di lavoro
Almeno in apparenza. Perché se il nuovo agreement fra lavoratori e azienda è senza ombra di dubbio un passo in avanti – anche simbolico – è però scavando nelle maglie del contratto, lì dove in genere non si guarda, che è presente più di un punto che solleva perplessità. A cominciare dalla mole spropositata di part-time involontari a 10 ore settimanali, estremamente flessibili perché spalmati anche su 6 giorni lavorativi. È uno dei “cancri” del mondo del lavoro italiano degli ultimi 20 anni – almeno per i lavoratori, che nella testa di chi li ha immaginati dovrebbero avere 3-4 lavori differenti che non si sovrappongono mai e altrettante competenze solo per campare – e che di fatto consentono all’azienda un grande piano di lavoro a chiamata mascherato da rapporto dipendente.
C’è scritto che si terrà conto delle esigenze e richieste dei rider nella pianificazione di turni e orari. Più facile scriverlo a monte che verificarlo a valle. Ad ogni modo la pianificazione prevede che entro un certo giorno della settimana i lavoratori diano disponibilità per quella successiva. Con Just Eat che 48 ore dopo gli comunica i relativi turni. Coloro che non danno la disponibilità nei tempi concordati o che rifiutano la proposta di turni dell’azienda si troveranno le ore decise unilateralmente dalla società. Gli obblighi per l’azienda? Solo uno. Nero su bianco è stato messo quello di garantire ai rider part time almeno due ore continuative. Partendo da quale punto di Milano? Lo decide Just Eat perché non è considerato lavoro quello impiegato per raggiungere hub o punti di partenza.
Il salario: 8,50 l’ora lordi
Ma passiamo al salario, che rispetto all’organizzazione del lavoro forse è il meno: gli 8,50 l’ora (lordi) che il manager Contini abilmente definisce di stipendio “e per gli istituti di welfare”, assumono un altro significato se si scopre, come in effetti è, che sono comprensivi di 13esima e 14esima mensilità. Ferie e permessi? I cosiddetti ROL sono solo il 30% di quelli previsti dal contratto nazionale della logistica. Cioè 2 giorni e mezzo in un anno. Non esattamente oro.
I premi di valorizzazione
Andiamo al salario variabile. I premi di valorizzazione? 0,5 euro a consegna. Ma solo se si superano le 250 consegne al mese. Sarebbero 125 euro in più ogni 30 giorni – non male – ma la domanda rimane: chi le fa 250 consegne con i part-time a 10 ore a settimana? Sarebbero sei consegne all’ora – impossibile – e anche con il part time a 20 ore basta un periodo di magra in cui non si pedala al massimo delle proprie possibilità o di scarsità di clienti che ordinano per non stare dentro la soglia. Così il premio scende. Sotto le 250 consegne? È di 0,25 euro l’una. E ancora: nessuno ha chiarito se è detassato o meno.