Neutralità assoluta: è questo il refrain dominante all’interno del governo Draghi di fronte all’avanzata ufficiale del fondo americano Kkr per il controllo di Tim.
Fonti romane vicine all’esecutivo sottolineano che quanto dichiarato nel comunicato del Ministero dello Sviluppo Economico, ovvero la volontà di uno scrutinio su occupazione e investimenti infrastrutturali, è una linea precisa, un non plus ultra ma che, ad ora, lo Stato non ha intenzione di muoversi per valutare azioni di risposta all’Opa “amichevole” di Kkr su Telecom Italia.
Del resto, quando il capitalismo nazionale incrocia i suoi destini con quello a stelle e strisce ogni tema riguardante autonomia operativa, strategie e visioni sistemiche deve fare i conti con l’asimmetria di potenza e con l’influenza del partito americano in Italia. Oggigiorno ben rappresentata dal potere di Kkr nell’economia nazionale.
Kkr, espressione del più puro capitalismo yankee
Kkr è espressione allo stato puro del capitalismo yankee vecchio stampo: legami intrinseci col potere, basso profilo, avanzate inesorabili ma senza alcuna sponda alla cieca rapacità dei fondi avvoltoio. Fondata da Jerome Kohlberg (morto nel 2015 a novant’anni), Henry Kravis e George Roberts nel lontano 1976, Kkr rifiuta sia la sfarzosa pomposità dei grandi gruppi della consulenza strategica e delle banche d’affari sia il mito del “guru” finanziario al comando, preferendo intrecciare rapporti organici con il potere puntando su un nucleo relativamente ristretto (1.700 dipendenti) di professionisti. Nella sua storia Kkr ha completato transazioni nel settore del private equity per un valore di più di 400 miliardi di dollari, con investimenti in oltre 160 società dei settori più disparati, come ricordato dal Corriere della Sera: “dai cosmetici Wella all’operatore telefonico spagnolo MasMovil fino all’editore tedesco Axel Springer, di cui Kkr è il maggiore azionista. In portafoglio ha inoltre società di software, provider di Reti in fibra, aziende di It, a sottolineare il focus per il settore digitale e delle tlc”. In Italia prima dell’offerta per Tim era proprio la telco nazionale ad essere stata partner dell’iniziativa più importante del gruppo: l’investimento da 1,8 miliardi di euro operato nel 2020 per entrare nel capitale di FiberCop. Nel 2007, in precedenza, era stato un finanziere italiano, Stefano Pessina, a fare affari con Kkr aprendo all’acquisto congiunto del retailer farmaceutico britannico Alliance Boots nel quadro di un consorzio in cui Kkr, assieme ad altri fondi, era centrale.
La strategia di Kkr: il leveraged buyout
La pratica dominante in Kkr è quello del leveraged buyout: una prassi volta a ottenere una partecipazione (totalitaria o di controllo) di una società, di un’azienda, di un ramo d’azienda o di un gruppo di attività (target), che ha come caratteristica quella di ricorrere al debito per finanziare la maggior parte del valore di acquisto e mira a aprire la strada a un controllo di medio o medio-lungo periodo non finalizzato all’immediata rivendita dell’azienda.
Henry Kravis, classe 1944, è tra i finanzieri di Kkr l’uomo più in vista sotto il profilo strategico, e ha reso Kkr uno dei grandi vincitori dell’era dell’amministrazione Trump conclusasi nel 2020, da cui ha ottenuto precisi dividendi operativi con la riforma fiscale e una copertura in campo strategico e di espansione. In un video di Bloomberg del 2010, il Tycoon disse che Kravis ha “un istinto incredibile” e nel 2016 gli offrì, in vista delle elezioni presidenziali, la carica di Segretario al Tesoro, ottenendo un cortese rifiuto.
La nuova frontiera dello sviluppo delle reti 5G
Kkr, dunque, è silenzioso protagonista della nuova fase degli arrembaggi finanziari statunitensi. In anticipo, il gruppo ha saputo, in passato, muoversi in quei settori (dalle data company ai semiconduttori) che avrebbero in futuro saputo rivelarsi pregnanti in termini di ritorno economico e ora in Italia si lancia sulla sfida delle infrastrutture digitali, dell’innovazione di frontiera e dello sviluppo delle reti 5G, in cui Tim è coinvolta nel quadro del consorzio O-Ran. Per farlo Kkr si avvale del consiglio di importanti esponenti degli apparati di potere statunitensi: non a caso, dal 2013 partner del fondo e presidente del Kkr Global Institute, l’istituto che fornisce analisi di rischio e geopolitiche agli investitori del fondo, è il generale a quattro stelle dei Marines David Petreus, ex direttore della Cia, uno dei maggiori comandanti militari statunitensi della sua generazione, alla guida in passato delle forze Usa in Afghanistan, Iraq, Pakistan. Petraeus è da tempo in prima fila per consigliare Kkr sugli investimenti di frontiera e, aprendo allo sbarco del gruppo in Italia, non potrà non aver tenuto conto del ruolo strategico del nostro Paese nel quadro delle alleanze geopolitiche e delle corse tecnologiche in atto, che vedono la Penisola terreno di scontro tra la Cina e gli Usa.
Quella visita di Petraus a Roma un mese fa…
Poco più di un mese fa, Petraeus è stato del resto a Roma in visita, ospite di Elettronica Spa: nella cornice del Laboratorio di Scenografia del Teatro dell’Opera di Roma, il 12 ottobre si è celebrato il 70esimo anniversario dell’azienda con un evento dedicato alla visione sul futuro, di fronte a una platea di ospiti d’onore, che andavano da Roberto Baldoni, direttore dell’agenzia cyber, a Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo Economico, passando per l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e l’ex ad di Tim Franco Bernabé, che a Roma si dice siano ascoltatissimi negli uffici di Palazzo Chigi dal presidente Draghi. Una passerella di nomi d’eccellenza a fianco dell’ex comandante americano in Medio Oriente divenuto advisor strategico che, vista a un mese di distanza, appare come un vero e proprio imprimatur alla mossa di Kkr. E non è un caso che letta in quest’ottica la “neutralità” del governo sembra sempre di più simile a una vera e propria acquiescenza.