Perché questo articolo potrebbe interessarti? Storicamente il nostro Paese dalle emergenze ha tirato fuori il meglio di sé. Oggi l’emergenza siccità potrebbe rappresentare il trampolino di lancio verso un modello di adattamento ai cambiamenti climatici in grado di fare scuola in Europa. Esempi ed esperienze non mancano, a partire dal meridione.
Il Po è ai minimi storici, alcuni suoi affluenti rischiano tra poche settimane di trasformarsi in poco più che rigagnoli d’acqua. Attorno al grande fiume della pianura padana, ci sono vaste distese di terreni oramai secchi, spaccati dall’assenza prolungata di acqua. È questo uno dei segni della siccità che sta colpendo l’Italia. Un segno fisico di un dramma economico e culturale. Specialmente il nord ha sempre tratto grande forza dai suoi fiumi, dai suoi corsi d’acqua sfruttati nei secoli come vie di comunicazione, come fortezze naturali, come linee di confine e come enorme riserva a cui attingere per lo sviluppo industriale.
La siccità nel nostro Paese è quindi un fatto molto grave. Un affare pesante, in grado di togliere linfa a molti comparti della nostra economia. Desertificazione vuol dire meno acqua con cui soddisfare il fabbisogno delle aziende, meno risorse idriche per i campi dove si producono le nostre eccellenze. E, in generale, maggiori difficoltà nel mandare avanti ogni attività. Eppure una luce in fondo al tunnel si vede. Perché proprio in Italia ci sono regioni che già da anni hanno imparato a convincere con il fenomeno della desertificazione. Sviluppando quindi così modelli importanti per affrontare le varie emergenze.
La percezione della siccità al nord e al sud
Il rischio di una prolungata siccità è grave lungo l’intero stivale, ma non è diffuso in modo omogeneo tra le varie regioni. Al contrario, negli ultimi due anni in particolar modo il problema è più avvertito al nord che al sud. I dati in tal senso parlano chiaro. Nello scorso mese di dicembre, in un report dell’Anbi (Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue), è emerso un pericoloso deficit pluviometrico rispetto ai livelli standard nel nord Italia. In particolare in Piemonte, dove la situazione è stata descritta come “severa”. Solo due regioni hanno registrato in quel report livelli di crescita delle riserve idriche: Puglia e Basilicata. Nell’ultima stagione invernale, il trend si è confermato: nel settentrione ha piovuto e soprattutto nevicato poco, mentre il sud Italia ha rappresentato l’area più umida del Paese.
In poche parole, la situazione rispetto agli anni passati si è invertita. Piove più al sud che al nord. A febbraio, il Piemonte ha registrato un -80% del livello delle precipitazioni rispetto alla media. Segno meno anche nel resto del Paese, ma in Sicilia ad esempio sono stati limitati i danni con un -15%. In Sardegna si è avuto un surplus del 14%. Situazione rispecchiata anche nelle temperature. Segno meno rispetto alla media al sud (-0.1 gradi) e in Sicilia (-0.5 gradi). Nel nordovest al contrario, il mese è stato più caldo di 1.2 gradi. Nel meridione quindi la siccità fa avvertire in modo diverso la sua presenza: qui la situazione è più contenuta e i dati sembrano offrire maggior respiro. Al nord, al contrario, il contesto appare drammatico.
Non è solo una questione climatica
La percezione del pericolo desertificazione è quindi diversa. Quei fiumi e quei laghi sempre più a secco nella pianura padana e nell’arco appenninico, stanno destando un grave allarme. Il discorso ad ogni modo non riguarda soltanto la questione climatica. Se al sud ci sono maggiori margini di manovra, è anche per una diversa disposizione infrastrutturale. Da Napoli in giù è possibile trovare invasi, dighe e altre opere che servono a trattenere l’acqua, a riempire gli invasi e a redistribuire poi alle varie utenze il prezioso e vitale liquido. Questo perché il meridione è da più tempo abituato a convincere con la siccità. Per il nord rimanere a secco per tratti di tempo mediamente lunghi, è una novità. Per il sud invece no. E dunque nel meridione si è più pronti a raccogliere la sfida legata alla siccità. Anche se non mancano problemi, a partire dalla scarsa manutenzione di molte infrastrutture e di molte condotte.
Opere del genere il nord non ne ha mai avuto di bisogno. La grande risorsa da cui hanno sempre attinto le regioni settentrionali, è stata storicamente rappresentata dagli accumuli di neve sulle Alpi. Accumuli però sempre meno imponenti e incapaci di dare linfa ai fiumi. La conseguenza è ben chiara: dagli enti locali alle aziende, sono tutti costretti a fare i conti con l’incapacità di trattenere quella poca acqua che oggi arriva. “Il 90% degli apporti pluviali – ha confermato nei mesi scorsi all’Agi Massimo Gargano, direttore generale dell’Anbi – finisce in mare”.
La forze dell’Italia nelle emergenze
Quello climatico è oramai un trend di medio/lungo periodo. Le anomalie rilevate, specialmente al nord, non sono figlie di mere eccezioni. Serve quindi per l’Italia un piano volto a contrastare la siccità. E qui, come detto in precedenza, qualche luce in fondo al tunnel inizia a vedersi. Proprio la capacità di adattamento nel meridione potrebbe rappresentare la base da cui partire. Non a caso lo stesso ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha parlato nei giorni scorsi di un piano per costruire 21 dighe e diversi laghetti artificiali. Il Pnrr ha destinato quasi un miliardo di Euro ad opere riguardanti i piani anti siccità. Gran parte dei fondi serviranno a coprire investimenti per l’adeguamento delle opere già esistenti, ridimensionando la dispersione idrica lungo vecchie e malandate tubature.
È comunque una corsa contro il tempo. Una marcia che, finora, è andata avanti a rilento. Un piano per diecimila piccoli invasi aziendali era pronto già da tempo. Ma, come denunciato ancora da Gargano, soltanto il 2% dei progetti è stato realizzato. Recuperando il tempo perduto, entro il 2030 l’Italia potrebbe trattenere il 30% dell’acqua piovana.
In generale, per il nostro Paese l’emergenza siccità si presenta anche come un’opportunità. Molti cantieri e molte opere verrebbero avviate, con conseguenti investimenti capaci di portare a migliaia di posti di lavoro. Ma non solo: convivere con la siccità permetterebbe di creare un modello in Europa, visto che non sono poche le regioni nel resto del Vecchio Continente dove esistono problemi di siccità. L’Italia del resto, quando ha sperimentato delle emergenze, è riuscita non solo a risolverle ma anche a mettere in campo nuovi modelli in grado di fare scuola.