Perché questo articolo potrebbe interessarti? L’Italia non sembra più avere un ruolo centrale nel narcotraffico internazionale, ma il ruolo delle nostre mafie non è ridimensionato e la criminalità assorbe quasi l’1.1% del nostro Pil grazie agli affari garantiti dalla droga.
Lo spaccio di sostanze stupefacenti ha sempre rappresentato il mercato più importante per le organizzazioni criminali. Chi ne detiene il controllo non ha solo accesso ad affari molto remunerativi, ma di fatto riesce a scalare le gerarchie del sistema di potere criminale. L’Italia in tal senso ne sa qualcosa. Cosa nostra, quando negli anni ’70 ha messo le mani sul traffico di droga, ha acuito la presa sul proprio territorio di pertinenza e ha accresciuto il proprio potere. In quegli anni l’organizzazione si è radicalmente trasformata. La Sicilia, negli ultimi decenni dello scorso secolo, era diventata un vero e proprio punto nevralgico del traffico internazionale.
Oggi la situazione sembra un po’ diversa. La mafia siciliana ha subito colpi importanti e ha perso anche prestigio a vantaggio di altre organizzazioni italiane, a partire dalla ‘Ndrangheta. Nello specifico però, a 30 anni dalla stagione delle stragi, cosa è cambiato nel nostro Paese nella lotta alla diffusione della droga? L’Italia è davvero al riparo dall’essere considerata un “narcostato”?
I cambiamenti nel mercato internazionale della droga
Capire la situazione lungo lo stivale non è semplice. Sono molte le variabili che occorre considerare. A partire dai cambiamenti che hanno interessato il mercato internazionale della spaccio di sostanze stupefacenti. Lo ha sottolineato ai microfoni di True-News.it l’analista Angela Me, a capo della Sezione Statistiche e Indagini dell’Unodc, ossia l’Agenzia delle Nazioni Unite per il controllo della droga.
“Basta seguire il filone del mercato più remunerativo, ossia quello della cocaina – ha dichiarato – oggi le dosi arrivano dai porti dei Paesi Bassi e del Belgio ad esempio. C’è poi la rotta balcanica, con la Turchia che si è ritagliata un ruolo importante. Un fatto veramente inedito quest’ultimo, perché dal medio oriente prima passava solo l’eroina”.
La geografia dello spaccio quindi pone oggi l’Italia non certo in periferia, ma nemmeno al centro. Quando cosa nostra deteneva ampie fette di mercato, in Sicilia sono state impiantate diverse raffinerie. Le sostanze venivano cioè lavorate direttamente nel nostro territorio. Tra gli inquirenti a scoprire quella che all’epoca ha rappresentato un’autentica sorpresa, occorre annoverare il capo della squadra mobile di Palermo, Boris Giuliano. Non a caso ucciso nel 1979 dai corleonesi, in procinto di iniziare la scalata all’interno dell’organizzazione a danno dei “vecchi boss” palermitani.
Il ruolo delle mafie italiane
Nonostante l’Italia non abbia più un ruolo esattamente centrale nell’organizzazione dello spaccio internazionale, non vuol dire però che il traffico sia diminuito. Né tanto meno che le mafie nel Bel Paese abbiano perso il proprio spazio. “Le organizzazioni malavitose – ha proseguito Angela Me – hanno ancora ampi margini di manovra. Lo dimostrano i sequestri e le operazioni delle forze dell’ordine”.
Quello che è accaduto negli ultimi decenni, secondo l’analista, non ha rappresentato altro che un allargamento della torta: è cresciuto cioè il mercato e quindi altri attori hanno iniziato ad occupare posizioni nel traffico internazionale. “Registriamo l’ingresso negli ultimi anni di altre mafie, come ad esempio quella albanese”. Di recente, nel mirino degli investigatori italiani sono finite anche le confraternite nigeriane. Si tratta di attori che non hanno tolto fette di mercato alle mafie tradizionali, hanno semplicemente occupato piazze precedentemente vuote.
Angela Me ha poi spiegato alcuni mutamenti occorsi all’interno delle mafie italiane. “In primo luogo, le organizzazioni hanno cambiato le proprie modalità operative – ha dichiarato – oggi le mafie italiane non le trovi con i propri affiliati a spacciare per strada, hanno come delegato il mercato sulla strada alle nuove mafie”. L’altro grande mutamento è direttamente collegabile alle novità emerse a livello internazionale: “Oggi occorre molta flessibilità anche tra le organizzazioni malavitose, perché il mercato della droga è sempre più veloce – ha concluso Angela Me – cosa nostra, per via della sua organizzazione gerarchica e verticistica poco si presta a questi cambiamenti, ‘ndrangheta e camorra invece riescono a infiltrarsi più facilmente nei circuiti internazionali”.
Un mercato dal valore immenso
Questo spiega perché, nonostante le operazioni antidroga e i colpi assestati alle mafie negli ultimi anni, il valore del mercato della cocaina e delle altre sostanze stupefacenti in Italia è ancora immenso. Secondo studi della Banca d’Italia, la criminalità organizzata nel nostro Paese assorbe circa l’1.1% del Pil. Ma, così come specificato dagli analisti di via XX settembre, questa cifra è riferibile unicamente agli affari scoperti e individuati dalle forze dell’ordine. Quelli cioè relativi appunto in gran parte al mercato della droga. Si tratterebbe ad ogni modo di una cifra sottostimata e che potrebbe raggiungere livelli più alti.
“L’Italia non è nella situazione di altri Paesi, dove il traffico di droga è una voce ancora più significativa nel Pil nazionale – ha aggiunto Angela Me – ma a livello assoluto i guadagni delle organizzazioni sono nell’ordine di miliardi”. Forse la penisola non è ai livelli di un narcostato, anche perché le sostanze da cui si producono cocaina ed eroina non sono impiantate nelle nostre campagne. Ma si tratta pur sempre di livelli enormi, specie se rapportati a quelli dei Paesi occidentali. E che, pur a distanza di tempo e nonostante le azioni degli inquirenti, dona alle mafie un importante potere.