Perché dovrebbe interessarti l’articolo? L’Italia ha investito molto in diversi Paesi un tempo organici al sistema comunista. Paesi però adesso esposti da vicino alla guerra in Ucraina, sia geograficamente che politicamente. Il rischio è che adesso molti investimenti vengano ridimensionati, con tutte le conseguenze del caso.
Gli interessi dell’Italia toccati dalla guerra in Ucraina non si limitano a quelli relativi al nostro territorio nazionale. Non è quindi solo una questione di prezzi più alti, caro energia e ridimensionamento degli affari con la Russia. Ci sono infatti interessi relativi alla nostra presenza commerciale ed economica in alcuni Paesi confinanti con l’Ucraina. Romania, Moldavia e Ungheria dalla fine del comunismo hanno assistito a una crescita esponenziale della presenta italiana: molti imprenditori hanno investito qui e hanno continuato a farlo anche negli ultimi anni. Con la guerra però alle porte di questi territori, è forte il rischio adesso di una drastica e netta inversione di tendenza.
Il valore degli scambi commerciali con l’Italia
A certificare l’importante presenza italiana in alcuni dei Paesi più esposti al conflitto, sono i dati economici e commerciali emersi negli ultimi anni. Un esempio arriva dalla Moldavia, Paese scelto non a caso: qui l’incombenza della guerra in Ucraina, per via soprattutto della presenza della Transnistria, è più sentita che altrove.
Fonti dell’ambasciata d’Italia a Chisinau contattate da TrueNews, hanno fornito cifre molto significative. In particolare, l’Italia è risultata essere al secondo posto in Moldavia per numero di società straniere registrate. Davanti c’è soltanto la Romania, Paese però che con la Moldavia ha profondi e radicati contatti di natura storica e culturale. Le aziende italiane registrate a Chisinau fino al 2021 erano 1.273, dato che si è tradotto in un quinto posto dell’Italia nella speciale classifica sul capitale straniero investito. In particolare, con riferimento sempre fino al 2021, le cifre parlano di almeno 1.751 milioni di Leu investiti in territorio moldavo.
Questo ha contribuito ovviamente ad aumentare l’interscambio commerciale tra i due Paesi, il quale nel 2021 ha raggiunto il valore complessivo di 684.5 milioni di Dollari. Roma, nell’anno immediatamente precedente al conflitto, si è attestata come settimo fornitore e quinto cliente della Moldavia.
Un discorso molto simile può essere fatto per l’attigua Romania. Qui addirittura già da dieci anni, come sottolineato sul portale InfoMercatiEsteri, l’Italia è al primo posto per numero di aziende straniere registrate. Contestualmente, Roma è il secondo Paese fornitore della Romania e si attesta come uno dei principali partner commerciali. Ci sono poi aree, come quella di Timisoara, dove la presenza di aziende italiane è oramai radicata da più di un quarto di secolo.
Un numero importante di aziende italiane si trova anche in Ungheria, dove già nel 2018 risultavano registrate 2.800 imprese, quasi due terzi delle quali nella capitale Budapest. Il nostro Paese è anche secondo fornitore dell’Ungheria, con un interscambio commerciale quindi molto attivo e attestato fino al 2020, come riscontrabile nei documenti dell’ufficio Ice dell’ambasciata italiana a Budapest, al 4.9% dell’intero interscambio ungherese.
Una presenza cresciuta negli ultimi 25 anni
La caduta del muro di Berlino e dei regimi comunisti ha aperto nuove prospettive e nuovi mercati alle aziende italiane. Molti imprenditori o singoli investitori, hanno deciso di partire dall’Italia e puntare su Paesi in cui occorreva ricostruire quasi da zero l’economia. In Romania ad esempio, si è puntato sulle numerose opportunità nel comporto agricolo, ma anche sugli investimenti del governo di Bucarest per la costruzione di nuove opere e nuove infrastrutture.
Il boom della presenza italiana in Ungheria è un fenomeno più recente e ha riguardato soprattutto il settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio. Nel 2018, come riportato su BusinessPeople, si calcola sia nata in media un’azienda italiana al giorno.
Più in generale però, ad attrarre gli italiani in quest’area d’Europa sono stati senza dubbio anche i vantaggi fiscali e il costo della manodopera. Molti imprenditori cioè hanno visto nella Moldavia, nella Romania e nell’Ungheria le condizioni ideali per poter portare i propri investimenti. Operazioni che a volte si sono tradotte anche in delocalizzazioni delle imprese stanziate nel nostro Paese.
Gli effetti nel lungo periodo della guerra
La scommessa iniziata negli anni ’90 oggi potrebbe essere messa in discussione dalla guerra. Romania e Ungheria, ma in modo ancor più profondo la Moldavia, potrebbero risentire degli effetti del conflitto ucraino così vicino ai loro confini. Circostanza quindi impattante anche per gli investimenti italiani.
“Ancora presto per valutare i dati del 2022 – hanno confidato alcune fonti diplomatiche a TrueNews – al momento non ci sono cifre complete relative all’anno della guerra. Occorre ad ogni modo valutare l’impatto nel lungo periodo”.
È infatti possibile che l’interscambio commerciale negli ultimi 12 mesi abbia retto. Questo perché chi ha già investito non ha lasciato i Paesi, dal momento che non ci sono particolari emergenze in termini di sicurezza. Tuttavia, potrebbero essersi arrestati i nuovi investimenti e molti italiani potrebbero essere scoraggiati dal proiettare i propri affari in questo angolo di Europa.
Si è ancora nel campo delle ipotesi. Investire in Paesi sfiorati da un grave conflitto del resto rappresenta un azzardo ancora più importante. Un azzardo che in tanti potrebbero essere portati a non praticare.