Due terzi dell’intera rete ferroviaria globale ad alta velocità si trova in Cina. Basta questo dato per spiegare quanto sono diventate imponenti le infrastrutture civili della Repubblica Popolare, che oggi può contare su 37.900 chilometri di rete ad alta velocità – che diventeranno 70mila entro il 2035 – oltre ai circa 141mila chilometri standard. A impressionare non c’è soltanto il record assoluto raggiunto da Pechino, ma anche la rapidità con il quale è stato raggiunto. Già, perché nel 1978 il gigante asiatico poteva contare su appena 5.300 chilometri di ferrovie tra treni passeggeri e merci.
Il seme piantato da Deng Xiaoping
Da quell’anno in poi, qualcosa iniziò a cambiare. Pare che l’allora presidente Deng Xiaoping, colui che avrebbe piantato il seme del cosiddetto socialismo con caratteristiche cinesi, durante una visita istituzionale in Giappone rimase impressionato da un viaggio effettuato sulla Shinkasen, l’alta velocità nipponica. Certo, almeno nelle prime fasi, il risveglio ferroviario cinese fu molto lento, visto che a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 la Cina doveva ancora fare i conti con un sistema di trasporto caratterizzato da lentezza e sovraffollamento. Mentre in Giappone ed Europa sfrecciavano treni che potevano sfiorare i 200 chilometri orari, nel 1993 i treni cinesi viaggiavano mediamente intorno ai 48.
Maglev, il progetto abbandonato di levitazione magnetica
Tre anni più tardi erano in corso test con treni sudcoreani sulla linea Guangzhou-Shenzhen, ma il tema dell’Alta Velocità entrò nell’agenda politica soltanto nel 2003. Impossibile, nei decenni precedenti, ottenere progressi rilevanti, dato lo scarso know-how cinese in materia e le poche risorse disponibili. Non a caso, i primi esperimenti coinvolsero aziende e tecnologie straniere. Un esempio su tutti è dato dal progetto sperimentale di Maglev (2004): un treno che adotta la tecnologia tedesca della levitazione magnetica, capace di connettere l’aeroporto di Shanghai Pudong alla stazione di Longyang Road, coprendo una trentina di chilometri con picchi di velocità di circa 431 chilometri orari. Il progetto Maglev, giudicato costoso e meno sicuro da estendere a livello nazionale, fu poi scartato a discapito del treno tradizionale.
L’interesse dei grandi colossi stranieri per lo sterminato mercato cinese
È così che i grandi colossi stranieri iniziano a ritagliarsi interessanti fette di mercato al di là della Muraglia. Dai francesi di Alstom ai tedeschi di Siemens, passando per i giapponesi di Kawazaki e i canadesi di Bombardier: tutti iniziarono a gareggiare per vendere treni e brevetti al Paese più popoloso del mondo, che voleva al più presto unire le sue città più importanti. Nel 2008, dopo aver “assorbito” il funzionamento delle tecnologie straniere, con le quali i cinesi erano in contatto dagli anni ’90, la Cina aveva tutto ciò che le serviva per iniziare a camminare con le proprie gambe.
L’avvento dell’alta velocità
Se l’inaugurazione ufficiale della prima linea ad alta velocità Pechino-Tianjin risale al 2008, la seconda, la Wuhan-Guangzhou, sarebbe arrivata soltanto un anno più tardi, mentre nel 2010 entrarono in funzione le tratte Shanghai-Hangzhou, Zhengxi Passenger Dedicated Line, Shanghai-Nanjing Intercity e Pechino-Shanghai. In una prima fase furono collegate le principali megalopoli cinesi, dalla capitale Pechino a Shanghai, passando per Guangzhou e Shenzhen, quindi le autorità si concentrarono sulle città “di secondo livello”, come Chongqing, Chengdu, Xian, Suzhou e Hangzhou. Lo scheletro ferroviario odierno aveva finalmente preso forma.
I primi treni al 100 per cento Made in China
Nel frattempo la Cina crea i suoi treni per l’alta velocità. Sempre nel 2008 nasce Harmonie, che dal fondere tecnologie straniere e cinesi passa a incarnare soltanto le seconde. Oggi viaggiare su un gaotie (treno ad alta velocità in lingua mandarino) è un’esperienza di lusso che non ha niente da invidiare ai più costosi spostamenti via aereo. I treni sono sicuri, puntuali, puliti, dotati di poltrone comode e pure di una rete 4 o 5G per consentire a tutti i passeggeri di navigare comodamente su internet.
Una estesa rete ferroviaria fiorita in un quinquennio
Servono quattro ore e mezzo per trasferirsi da Pechino a Shanghai con i treni ad alta velocità, contro le poco più di due ore che richiede uno spostamento aereo; il biglietto costa però molto meno (più o meno un terzo), e questo ha ridotto la domanda di voli interni, tra l’altro una decina di volte più inquinanti. In poco più di un decennio, la Cina ha costruito abbastanza linee ad alta velocità da fare quasi il giro del mondo. Metà dell’opera ha visto la luce negli ultimi cinque anni, mentre nel 2021 dovevano essere inaugurati 3.700 chilometri, e cioè più di del totale delle linee francesi o italiane, ferme rispettivamente a 2.800 e 1.500 chilometri.
L’assalto al mercato internazionale
Pechino sfoggia adesso tecnologie made in China, costruisce treni a ritmi infernali, pronti a esportarli ovunque, e si è pure lanciata all’assalto del mercato internazionale. La Belt and Road Initiative, il mastodontico progetto infrastrutturale annunciato dal presidente Xi Jinping nel 2013, mira, come spiegano i funzionari cinesi, a unire idealmente Asia, Europa e Africa per agevolare commerci e scambi culturali in un “rapporto win-win”, dove tutti ci guadagnano.
Tra queste infrastrutture non potevano non trovare spazio le ferrovie, ormai fiore all’occhiello dell’industria cinese. Una lista completa sarebbe lunghissima, tra quelle realizzate, quelle modernizzate e quelle pianificate. In pianificazione troviamo la Jakarta-Bandung, la linea che dovrebbe collegare Istanbul a Budapest passando per Sofia, la Dakar-Bamako e la Kumming-Vientiane, soltanto per citare un paio di casi. La sensazione è che la Cina sia consapevole di attraversare una fase di grande ascesa e, come tutti i grandi imperi nella storia, voglia espandere il più possibile la sua influenza mediante le infrastrutture (il richiamo all’impero romano non appare infondato).
Il rovescio della medaglia: China Railway, presunti debiti per 715 miliardi di euro
C’è però da considerare l’altra faccia della medaglia: quanto ha speso Pechino per costruire le linee ferroviarie, tanto all’interno del Paese che all’estero? Diversi soldi, a giudicare dal presunto debito di 715 miliardi di euro attribuito al colosso statale China Railway; un debito sempre meno sostenibile – e per giunta per aver originato tratte spesso non redditizie – reso possibile soltanto grazie al finanziamento dello Stato.
Il confronto con la Railway Mania dell’Ottocento
Anche qui è interessante fare un confronto con il passato, in particolare con la Railway Mania avvenuta nel Regno Unito negli anni Quaranta dell’Ottocento. Di che cosa si trattava? Semplice: di una bolla del mercato azionario causata dalla mania di costruire ferrovie. All’aumentare del prezzo delle azioni ferroviarie, gli speculatori hanno investito sempre più denaro, provocando l’aumento del prezzo delle stesse, fino al loro crollo. Risultato: molte ferrovie pianificate non furono mai costruite, intere società crollarono a causa di una pessima organizzazione finanziaria o furono acquistate da concorrenti meglio attrezzate.