L’ondata di rincari nei tassi d’interesse decretati dalle banche centrali di tutto il mondo per rispondere all’inflazione nell’ultimo biennio possono avere un impatto di lungo periodo nelle strategie di transizione energetica decretate dalle maggiori economie del pianeta. E – anzi – è notevole pensare che in tutti i maggiori piani di transizione delle grandi economie avanzate non si sia pensato, se non in forma secondaria, a un adattamento delle strategie alla “nuova normalità” in maniera analoga a come fatto con l’inflazione.
L’erosione inflattiva
Il fatto l’inflazione riduca i margini di manovra per la costruzione di nuovi impianti per energie rinnovabili (dai pannelli fotovoltaici alle pale eoliche), di infrastrutture dual use (come i gasdotti adattabili anche all’idrogeno) e di reti di distribuzione efficienti e ad alta intensità tecnologica è acclarato. Ed è legato, chiaramente, agli alti costi delle materie prime. Ma visto che tutte le grandi economie hanno pensato a strategie di transizione da costruire sulla scia dell’aumento dei partenariati pubblico-privato per la costruzione di nuove reti energetiche rinnovabili e dello sdoganamento degli investimenti aziendali privati, il fattore del costo del denaro incrementato dall’aumento dei tassi non può essere rimosso dal tavolo.
Tassi e transizione energetica
In tutto il mondo la transizione è stata pensata sulla base di un modello economico che ha visto, dopo la Grande Recessione, i tassi rimanere notevolmente bassi negli ultimi quindici anni, assumendo questa realtà come immutabile. Ma il ritorno dell’inflazione dopo il Covid ha cambiato la situazione. E i rincari dell’economia reale, uniti al costo maggiore del denaro per gli investimenti, possono comprimere il sentiero della decarbonizzazione. Un’analisi di New Scientist ricorda che a causa dell’aumento dei tassi accelerato da parte della Banca centrale europea a partire dal luglio 2022, che li ha portati oltre il 4%, l’Europa deve ora trovare altri 163 miliardi di euro per raggiungere lo zero netto entro il 2050″, un aumento medio di 6 miliardi l’anno ogni anno. Justin Worland ha scritto su Time che il governo americano si aspetta in prospettiva rincari simili per l’economia a stelle e strisce.
Per Worland questo fatto necessariamente promuoverà, almeno in termini relativi, un mantenimento in essere delle fonte energetiche tradizionali per un tempo più lungo del previsto: “Tassi di interesse più elevati rendono più costoso prendere in prestito quel denaro e, a loro volta, possono aumentare significativamente il costo di un progetto. Infatti il costo dell’elettricità generata da fonti convenzionali, vale a dire gas e carbone, dipende in gran parte dal costo del combustibile piuttosto che dal costo di costruzione del progetto in primo luogo”, che impone costi fissi più alti e da ammortizzare sul medio-lungo periodo per ottenere ritorni certi in campo economico anche in base all’evoluzione dei tassi.
Anche il falco tedesco evidenzia il problema dei tassi
Insomma, l’illusione di un mondo a costo del denaro nullo o quasi è finita, forse per sempre. L’onda lunga della crisi finanziaria non poteva durare per sempre e il calmiere del denaro “facile” si è esaurito a causa dell’ondata di liquidità che la pandemia ha portato in campo da parte di governi e banche centrali per tamponare le conseguenze economiche del Covid-19. Isabel Schnabel, membro del comitato esecutivo della Bce, lo ha riassunto chiaramente in un commento pubblicato sul sito dell’Eurotower: “le energie rinnovabili sono più competitive quando i tassi di interesse sono bassi” e “con l’aumento dei tassi di interesse, il finanziamento degli investimenti nelle tecnologie verdi diventerà più costoso, generando il rischio che i maggiori costi del capitale possano rallentare il ritmo della decarbonizzazione”.
La tedesca Schnabel è del resto una delle più attente fautrici dei rincari dei tassi e parla del fatto come di un’eventualità difficilmente evitabile nei mesi a venire: la transizione energetica dovrà essere rimodulata dai governi alla luce delle condizioni esistenti dell’economia. Che potrebbero dunque portare a sacrificare alcune utopie sui tempi e i modi della decarbonizzazione in nome di principi più sostenibili sul medio-lungo periodo sul versante produttivo e industriale.