Nascondere la propria forza in attesa del momento giusto, e quindi seguire il vecchio adagio di Deng Xiaoping, oppure stringere i muscoli fin da subito, così da mostrare al mondo intero le proprie capacità, come dà l’idea di voler fare Xi Jinping? Se su svariate tematiche la Cina ha abbracciato il nuovo corso di Xi, in altri ambiti sembra che il saggio consiglio di Deng continui ad essere applicato con dovizia di causa. Soprattutto là dove Pechino non è ancora all’altezza di affrontare gli Stati Uniti da pari a pari. È qui che la strategia di tenere un “basso profilo” trova la sua applicazione, in attesa che il Dragone possa conseguire la sicurezza necessaria per muoversi senza paura nei grandi palcoscenici globali.
La strategia cinese per il controllo dei mari
L’economia è stata profondamente riformata; gli armamenti sono stati rafforzati al punto da preoccupare persino gli Stati Uniti; nell’arco degli ultimi decenni il Pil è schizzato alle stelle, battendo record su record; milioni di persone sono uscite dalla povertà e hanno formato il più grande mercato del mondo. La Cina fin qui ha fatto molti miracoli, ma non è ancora riuscita a scrollarsi di dosso l’etichetta di potenza terrestre; un’etichetta inedita, leggendo la storia cinese, che inizia a star stretta a un Paese che ambisce a proiettare la sua influenza politica, economica e commerciale in tutto il pianeta, via terra ma soprattutto via mare. Per cercare di conquistare quanto più spazio di manovra marittimo possibile, Pechino sta lavorando su due diversi piani tra loro complementari.
Una Nuova Via della Seta adattata al XXI secolo
Da un lato, Xi Jinping ha deciso di rafforzare la Zhōngguó Rénmín Jiěfàngjūn Hǎijūn, ovvero la Marina dell’esercito popolare di liberazione cinese, in modo tale da incrementare il peso specifico del Dragone nelle acque del Mar Cinese Meridionale, uno dei punti più caldi del pianeta. Accanto alla costruzione di portaerei e imbarcazioni sempre più all’avanguardia, la Cina ha però messo sul tavolo anche un ambizioso progetto infrastrutturale, volto a creare nuove vie di collegamento tra il suo mercato, l’Eurasia e il continente africano. Stiamo parlando della Belt and Road Initiative, la Nuova Via della Seta “adattata” al XXI secolo, formata da una via terrestre e una marittima. Quest’ultima, nasce proprio con l’intenzione di unire i principali porti cinesi agli scali strategici situati nell’Oceano Indiano, nel Corno d’Africa e nel Mar Mediterraneo. Al netto delle implicazioni militari, controllare le vie di comunicazione marittime consente a qualsiasi Paese di avere un’importante voce in capitolo nella gestione delle merci su scala internazionale.
Scomparse dai radar 14 milioni di navi mercantili
Appurato che la Cina intende diventare al più presto una potenza marittima, è interessante soffermarci su un fenomeno legato al commercio navale che ha iniziato a manifestarsi in maniera consistente dalla fine dello scorso novembre. I dati di quasi il 90% delle navi mercantili attive in prossimità del gigante asiatico sono letteralmente scomparsi dai radar. Dando un’occhiata al traffico navale, è sempre più comune veder comparire, all’improvviso e in pieno oceano, il segnale lampeggiante di un’imbarcazione, pronta ad attraccare in un porto cinese e scaricare la sua mercanzia. Per capire meglio cosa sta accadendo nelle acque cinesi, basti pensare che a ottobre venivano rilevati quotidianamente più di 15 milioni di transponder accesi, crollati, un mese più tardi, ad appena un milione.
Stop all’invio di informazioni per il tracciamento navale
Detto altrimenti, mentre qualche settimana fa era possibile osservare il flusso di milioni e milioni di navi mercantili operare in Cina, oggi Pechino ha scelto di oscurare il tutto per salvaguardare la propria sicurezza economica. In sostanza, il governo cinese non ha più alcuna intenzione di trasmettere a livello internazionale le informazioni raccolte mediante il sistema di identificazione automatica (Ais). Stiamo parlando di quel sistema automatico di tracciamento utilizzato in ambito navale, in supporto ai sistemi radar, allo scopo di evitare le collisioni fra le unità in navigazione e fornire aiuto in caso di disastri. Secondo la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare dell’Organizzazione marittima internazionale, tanto le normali navi da passeggeri quanto tutte le altre navi con una stazza pari o superiore alle 300 tonnellate – sia che operino su rotte internazionali o che effettuino scalo in un porto di uno Stato membro – devono essere dotate di un Ais.
Porti al buio: il rischio di congestioni sotto Natale
Il vuoto venutosi a creare con la scomparsa della maggior parte dei dati Ais inerenti alla Cina potrebbe avere conseguenze sul mercato globale delle merci. Già, perché i vari porti cinesi (ma non solo), dovendo contare su pochi dati, sono costretti a lavorare nel buio più totale, senza sapere come organizzare in anticipo la logistica delle imbarcazioni, con il rischio di creare congestioni di traffico negli scali cinesi, e quindi il rallentamento delle spedizioni delle stesse merci e un aumento generale dei costi. Ricordiamo che la Cina ospita sei dei dieci porti container più trafficati del mondo, e che la politica “Zero Covid” attuata da Pechino impone rigidi provvedimenti anti contagio – tra cui una quarantena obbligatoria di svariate settimane – anche agli equipaggi dei vari cargo. Armatori e manager si trovano così sempre più spesso costretti a deviare la rotta delle loro navi per bypassare le restrizioni del Dragone ed evitare il congestionamento cinese. Risultato: a pochi giorni dal Natale, un periodo dove la richiesta di merci sale alle stelle, le spedizioni marittime potrebbero andare incontro a ritardi considerevoli. E lasciare negozi e attività commerciali a secco di alcuni tra i prodotti più richiesti.
Ais spento: una questione di sicurezza nazionale
Per quale motivo la Cina ha iniziato a nascondere i dettagli – quali posizione, rotta e velocità di crociera – delle navi mercantili operanti in prossimità del suo territorio? Esistono due possibili chiavi di lettura. Poiché l’Ais si è trasformato in uno strumento che consente di monitorare la situazione della catena di approvvigionamento globale, e quindi di fotografare le attività commerciali presenti in ogni singolo porto, l’intero sistema metterebbe a rischio la sicurezza nazionale cinese. Il rischio è che gli altri Paesi possano studiare i dati forniti dal sistema di identificazione automatica non solo per capire lo stato economico della Cina, ma anche per informare i rispettivi servizi di intelligence in merito alle mosse commerciali di Pechino.
Un’altra chiave di lettura: la nuova legge sulla privacy
L’altra chiave di lettura è molto più istituzionale. A partire dal primo novembre, il governo cinese ha varato una nuova legge sulla privacy, la Personal Information Protection Law, che costringe le società che processano i dati a ottenere il via libero delle autorità nazionali – in particolare della Cyberspace Administration of China – prima di poter trasmettere quegli stessi dati al di fuori del territorio cinese. Se così fosse, i vari centri di identificazione automatica potrebbero aver rivisto i propri servizi, in attesa di capire come comportarsi con la burocrazia cinese. In tutto questo, emerge la volontà della Cina di impossessarsi, almeno in senso figurato, del controllo dei suoi mari e delle attività commerciali praticate al loro interno.