Il 5% più ricco degli italiani controlla il 46% della ricchezza complessiva, il 10% arriva al 59% totale e il 50% meno ricco, complessivamente, non assomma che il 7,6%. Lo riporta la Banca d’Italia guidata da Fabio Panetta nella più recente delle statistiche trimestrali sui conti della ricchezza delle famiglie italiane, che segnalano come nel nostro Paese il controllo degli asset che costituiscono i patrimoni sia in larga parte concentrato nella componente più alta della distribuzione.
La ricchezza in Italia è sempre più concentrata
I tre quinti della ricchezza in mano a un decimo degli italiani, una fascia media del 40% degli italiani che controlla esattamente un terzo del patrimonio e un’ampia fascia che appare quasi nullatenente al cospetto della parte più facoltosa. Sono questi i dati che emergono riguardo a un Paese in cui le disuguaglianze nella distribuzione sono sempre palesi. E i dati della Banca d’Italia mostrano che negli ultimi anni si è avuto un graduale cambiamento legato, principalmente, al sostanziale declino della classe media. Dieci anni fa, a fine 2013, il 10% più ricco degli italiani controllava il 53,4% della ricchezza, il 5% il 41,8%, il 50% meno ricco era sostanzialmente ai livelli di oggi: 7,9%.
La classe media ha perso dunque oltre il 5% della sua ricchezza in un decennio, mentre sostanzialmente complice le misure di welfare e la presenza di un sistema fondato sulla casa di proprietà ha difeso la ricchezza dei meno abbienti in termini relativi. La casa rappresenta la metà della ricchezza degli italiani: 5.500 miliardi il valore del patrimonio immobiliare su 11.000 miliardi di ricchezza detenuta, mentre i depositi bancari (1.372 miliardi) superano la ricchezza investita (poco meno di 1.300 miliardi).
Gli effetti dell’evoluzione della ricchezza
“La composizione del portafoglio è molto eterogenea tra famiglie – rileva la Banca d’Italia nello studio – in Italia quelle meno abbienti detengono principalmente abitazioni e depositi mentre quelle più ricche diversificano maggiormente, detenendo anche quote significative di azioni, partecipazioni e attività reali destinate alla produzione e di altri strumenti finanziari complessi”. Gli anni in cui maggiormente si è avuta una strutturale problematica nella gestione del patrimonio degli italiani, le cui conseguenze si sentono tuttora, sono stati quelli della crisi dei debiti e delle sue conseguenze. I cui impatti si fanno sentire tuttora.
L’ufficio studi di Via Nazionale nota infatti che “i principali indici di disuguaglianza sono rimasti sostanzialmente stabili tra il 2017 e il 2022, dopo essere aumentati tra il 2010 e il 2016”. La ricchezza era comunque già molto concentrata prima e i danni subiti dalla classe media per le misure di austerità e la decrescita del Pil, che ha falciato soprattutto l’economia reale e le imprese, si rimargineranno solo dopo molto tempo. Cosa ha “salvato” l’Italia, dunque? Essenzialmente la propensione al risparmio delle famiglie, capaci di detenere una quota di ricchezza oltre cinque volte il Pil nazionale. Cuscinetto contro le tempeste che hanno colpito il Paese dalla crisi dei debiti al Covid.