“Business as usual”, dicono gli inglesi, una dicitura che si addice alla perfezione per un settore in cui gli affari sono proseguiti senza intoppi, a dispetto di due anni di pandemia: quello della vendita di armi. Il Covid ha causato il crollo della stragrande maggioranza delle filiere economiche globali, non di quella degli armamenti: nel corso del 2020 il fatturato dei cento maggiori gruppi industriali del settore della Difesa ha fatto registrare un aumento dell’1,3%, per un totale di 470 miliardi di euro.
Il rapporto annuale del Sipri
Lo conferma l’ultimo rapporto del SIPRI, un istituto indipendente impegnato in ricerche su conflitto, armi, controllo delle armi e disarmo. Dalla sua fondazione nel 1966 il SIPRI stila ogni anno uno Yearbook, un rapporto dettagliato coi dati della spesa militare mondiale, produzione e trasferimenti internazionali di armi, forze nucleari, conflitti armati e operazioni multilaterali, nonché analisi aggiornate sul controllo delle armi, e i processi di pace e sicurezza internazionale.
Il pianeta è in recessione, ma le vendite di armi crescono
Lo Yearbook 2021 SIPRI di quest’anno fotografa i contesti bellici e gli affari militari nell’anno 2020. A dispetto della recessione economica globale (-3,1% rispetto all’anno precedente), le vendite di armi continuano a crescere anche in piena pandemia. Il 2020 è stato il sesto anno consecutivo di aumento delle vendite di armamenti, con profitti d’oro per le cento multinazionali che dominano il settore. I cento colossi militari hanno registrato un aumento delle vendite del 17% rispetto al 2015, il primo anno in cui il SIPRI ha incluso i dati sulle aziende cinesi. Una crescita con il benestare dei governi. La ricercatrice del programma Spese militari e produzione armi di SIPRI, Alexandra Marksteiner ha analizzato come “I giganti del settore sono stati ampiamente protetti dalla domanda pubblica sostenuta di beni e servizi militari. In gran parte del mondo, le spese militari sono aumentate e alcuni governi hanno persino accelerato i pagamenti all’industria degli armamenti per limitare l’impatto della crisi del Covid-19”.
Aumentano le guerre, diminuiscono i morti
Nel 2020 sono scoppiate 5 guerre in più rispetto all’anno precedente. Trentanove Stati sono coinvolti in eventi bellici: 2 nelle Americhe, 7 in Asia e Oceania, 3 in Europa, 7 in Medio Oriente e Nord Africa e 20 in Africa. La maggior parte di questi conflitti è intra-statale, svolta nei confini di un singolo Paese, tra le forze governative e uno o più gruppi armati. Due sono stati registrati come gravi conflitti armati (con almeno 10.000 decessi associati al conflitto in un anno) – Afghanistan e Yemen – e 16 classificati come ad alta intensità (con 1.000-9.999 decessi).
Solamente 2 conflitti sono combattuti tra Stati: gli scontri di confine tra India e Pakistan, e quelli tra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh. Due conflitti sono stati combattuti tra forze statali e gruppi armati che aspiravano alla sovranità statale: tra Israele e Palestinesi, e tra Turchia e Curdi. Per il secondo anno consecutivo la stima del numero di decessi associati ai conflitti armati è diminuito: nel 2020 sono stati circa 120.000 – meno 30% rispetto al 2018. In controtendenza l’Europa – per il conflitto in Nagorno-Karabakh – e l’Africa subsahariana. Se i decessi diminuiscono, aumentano le conseguenze della guerra: sfollamenti, insicurezza alimentare e bisogni.
Una nota positiva a margine: nel 2020 sono state registrate 62 operazioni multilaterali di pace, 1 in più rispetto all’anno precedente.
Dominio americano
Regina incontrastata della classifica è l’America, Paese in cui ogni anno muoiono circa 30mila persone per armi da fuoco – la metà dei caduti a stelle e strisce in Vietnam e circa quattro volte quelli in Afghanistan e Iraq, ogni anno. Le vendite combinate di armi di 41 aziende americane ammontano a 285 miliardi di dollari nel 2020 – un aumento dell’1,9% rispetto al 2019 – e rappresentano il 54% del totale delle Top 100 delle vendite. Dal 2018, le prime cinque maggiori aziende nella classifica hanno tutte sede negli Stati Uniti, che con gli alleati – Nato, Giappone e Israele – coprono circa l’80 per cento del mercato mondiale degli armamenti.
La Russia cala, la Cina vola
Se all’orizzonte si profilano scenari da guerra fredda, è il caso di addentrarsi nelle spese militari dei principali rivali nel Grande Gioco mondiale. Da cinque anni la Russia vede calare la percentuale di vendite di armi: le nove società russe nella Top 100 sono scese da 28,2 miliardi di dollari nel 2019 a 26,4 miliardi di dollari nel 2020, meno 6,5% dal picco del 2017. Ad oggi il mercato russo copre il 5% delle vendite totali. Alcuni dei maggiori cali nella Top 100 sono registrati dalle società russe.
Continua invece ad aumentare la crescita delle armi cinesi: le prime cinque aziende del Dragone hanno venduto per 67 miliardi di dollari nel 2020, +1,5% rispetto al 2019. La Cina costituisce il 13% del totale, al secondo posto dopo gli USA, ma davanti a colossi storici come Regno Unito e Israele. Secondo il dottor Nan Tian: “Negli ultimi anni, le compagnie di armi cinesi hanno beneficiato dei programmi di modernizzazione militare del Paese e si sono concentrate sulla fusione civile-militare. Sono diventati tra i produttori di tecnologia militare più avanzati al mondo. NORINCO, ad esempio, ha co-sviluppato il sistema di navigazione satellitare militare-civile BeiDou e ha intensificato le sue attività nelle nuove tecnologie”.
L’Europa tiene
Le 26 compagnie europee di armamenti nella Top 100 rappresentano il 21% delle vendite totali di armi, ovvero 109 miliardi di dollari. La fetta principale è costituita dalle sette società britanniche con 37,5 miliardi di sterline di vendite nel 2020, in crescita del 6,2% rispetto al 2019. BAE Systems è l’unica azienda europea nella Top 10, che da sola ha venduto armi per 24 miliardi lo scorso anno.
Le sei aziende francesi hanno invece registrato un calo del 7,7%, in gran parte dovuto a una forte diminuzione del numero di consegne di aerei da combattimento, solo parzialmente coperto dagli aumenti delle vendite di sistemi di navigazione e puntamento. In linea col 2019 le quattro aziende tedesche – l’1,7% delle vendite totali – anche se il costruttore navale ThyssenKrupp ha registrato un calo del 3,7%.
E l’Italia?
Il 2020 è stato un annus horribilis anche per il mercato delle armi italiano – il nostro paese vanta il 2,2% delle quote di esportazioni del mercato globale. Cala del 25% la vendita di armi nell’anno pandemico: 4 miliardi di esportazioni autorizzate, un quarto in meno rispetto al 2019 e al 2018. Le esportazioni militari scendono dopo anni di crescita (8,2 miliardi nel 2015, 14,9 miliardi nel 2016 e 10,3 nel 2017). Il mercato prediletto del nostro export bellico resta l’Egitto (991,2 milioni di euro, +120 milioni rispetto 2019), grazie alla licenza di vendita di due Fregate FREMM. Al secondo posto, sono gli Stati Uniti con 456,4 milioni (+150 milioni), seguiti dal Regno Unito con 352 milioni. Preoccupante la vendita di armi italiane a Paesi in guerra: Africa del nord e Medio Oriente. Complessivamente, il 56,1% (2.204 milioni) delle licenze all’export ha per destinatari Paesi fuori dalla UE e dalla NATO.
Il resto del mondo
Il totale delle armi delle prime 100 società con sede al di fuori di Stati Uniti, Cina, Russia ed Europa ammonta a 43,1 miliardi di dollari nel 2020, con un aumento del 3,4% dal 2019. Un aumento trainato da Israele (10,4 miliardi di dollari, il 2% del totale); Giappone (9,9 miliardi, 1,9%); Sud Corea (6,5 miliardi, 4,6%); e India all’1,7% che entra prepotentemente nel mercato dopo la svolta autarchica di Modi che ha deciso di favorire la produzione locale.