Home Economy La Perla alla deriva: un gioiello del Made in Italy affossato dalle gestioni estere. I bilanci

La Perla alla deriva: un gioiello del Made in Italy affossato dalle gestioni estere. I bilanci

La Perla alla deriva: un gioiello del Made in Italy affossato dalle gestioni estere. I bilanci

Perchè leggere questo articolo? La Perla, azienda bolognese di lingerie di lusso, in amministrazione straordinaria a causa della fallimentare gestione da parte delle proprietà estere del marchio I segni della crisi nell’ultimo bilancio disponibile, quello 2022 analizzato da true-news.it

Ci avete lasciato senza mutande”. È lo slogan di protesta dei dipendenti di La Perla, azienda di biancheria intima di lusso, che quest’anno spegnerà le 70 candeline di attività in amministrazione straordinaria. Dopo anni di complessa crisi, il tribunale di Bologna ha dichiarato lo stato di insolvenza del marchio, data la sua incapacità di risanare i debiti. Per 17 anni infatti la storica società bolognese è passata nelle mani di diversi fondi, senza mai un bilancio in utile. Oggi La Perla appartiene a una holding britannica, La Perla Global Management (UK) Limited, che tiene l’impresa in stato di fallimento non dichiarato. Con ingenti perdite sia in termini di fatturato che di organico. True-news.it ne ha analizzato il bilancio per il 2022, riscontrando un totale di perdite di quasi 5 milioni di euro. Anche le maestranze hanno subito tagli pesanti, passando nel 2023 da 1500 a 500 dipendenti, da mesi rimasti senza stipendio. Tra questi, oltre 300 sono lavoratrici italiane che si sono mobilitate per denunciare il silenzioso tracollo in atto e preservare l’eredità di un’artigianalità Made in Italy di alta qualità.

La Perla Italia, un bilancio pilotato

Analizzando l’ultimo bilancio di La Perla relativo all’anno 2022 non ci sono dubbi: l’azienda è alla deriva. La perdita di esercizio è pari a 4 milioni e 620 mila euro. Tra le voci, quella che più salta all’occhio è l’aumento del 20% dei costi del personale, in netta contrapposizione con i tagli che da anni dilaniano l’organico. Diminuito ulteriormente del 10%, anche se tale contrazione è attenuata dalle casse integrazioni del primo trimestre del 2021 a causa dell’emergenza pandemica. Altro punto saliente sono i 107 milioni di debiti dell’azienda, l’80% dei quali è contratto nei confronti di soci finanziatori.

Per quanto riguarda l’attivo, invece, su 33 milioni di fatturato totale quasi la metà non sono ricavi effettivi generati dal core business dell’azienda, quindi dalle vendite. Il 40% dei ricavi – pari a 13 milioni non specificati – è sempre stimato nei confronti della controllante inglese, che tra l’altro risulta essere l’unico cliente di La Perla italiana. Il che fa abbastanza specie. Si tratta di proventi intercompany, che dimostrano quanto il bilancio stesso sia pilotato dal capogruppo britannico per rendere la situazione più grave di quanto già fosse. Lo si vede anche dalla forte e non validamente giustificata svalutazione delle rimanenze in magazzino, pari a quasi il totale dell’importo. Con 8 milioni di materie prime non più utilizzabili nel processo produttivo.

Il declino di una storia Made in Italy in mani straniere

Nonostante la situazione finanziaria compromessa, l’Italia per La Perla non ha scelto la via della liquidazione e del licenziamento collettivo, ma la procedura del diritto fallimentare che permette alle aziende in crisi di restare operative concordando un piano di risanamento dei debiti. L’amministrazione straordinaria, appunto. Una soluzione diametralmente opposta a quella presa lo scorso novembre dal tribunale inglese nei confronti della holding a cui fa capo il marchio italiano, La Perla Global Management (UK) Limited, costretta a chiudere i battenti per non aver pagato oltre 3 milioni di euro di tasse.

Da tempo il colosso della lingerie d’alta gamma non è più una società italiana. Nel 2007, già schiacciato da 70 milioni di debiti, viene ceduto alla società americana di investimenti JH Partners. La quale, però, dopo una gestione tutta fallimentare rivende l’azienda all’asta. È il 2013 quando l’imprenditore italiano Silvio Scaglia cerca, invano, di risollevare la situazione. Ma nel 2018 La Perla viene rilevata dal fondo Tennor, di proprietà del tedesco Lars Windhorst: è l’inizio della fine. Il 2019, in piena emergenza sanitaria Covid, segna 89 milioni di euro di perdite su 86 milioni di fatturato.

Nelle mani dello spregiudicato finanziere – oggi ufficialmente nullatenente nonostante giri in jet privato, ricercato da istituzioni, sindacati e media – i conti continuano a tracollare inesorabilmente. Le maestranze si sono dimezzate, sia nell’ambito della produzione, che della vendita al dettaglio. Con una progressiva e preoccupante contrazione dei negozi a livello globale, che in Italia ha raggiunto l’85%. Non di certo perché la rete di vendita fosse poco profittevole, ma perché i canoni di locazione non sono stati pagati.

La Perla, una realtà italiana – e femminile – da salvare

Nel tentativo di salvare un’icona storica dell’alta moda Made in Italy, il tribunale di Bologna ha preventivamente sequestrato e messo sotto custodia la filiale italiana, consentendole di continuare a utilizzare e produrre il marchio nonostante le procedure fallimentari del Regno Unito. L’intenzione è quella di ricucire quel che resta di 70 anni di storia tutta italiana di corsetteria e lingerie, che affonda le radici nel lontano 1954, quando la sarta bolognese dalle “forbici d’oro” Ada Masotti ha aperto il suo atelier La Perla. Da subito divenuto sinonimo di esclusività, bellezza e lusso nel mondo. Ma anche patrimonio di maestranze artigiane al femminile, oggi in pericolo a causa delle manovre di speculazione finanziaria della proprietà.

Attualmente sono 324 le persone impiegate nello stabilimento di Bologna, per la maggior parte donne di trentennale competenza sartoriale, che non vedono lo stipendio dallo scorso ottobre. Sono proprio queste lavoratrici ad aver denunciato la crisi della produzione, oltre all’assenza degli investimenti e dei piani di rilancio promessi. Non con uno sciopero che avrebbe bloccato ulteriormente la produzione, già ai minimi storici, ma con un presidio di 5 settimane messo in atto durante la pausa pranzo. La loro richiesta è risollevare il marchio equilibrando costi e ricavi, nella speranza che un imprenditore – e non un finanziere – esperto del settore possa dare inizio a un nuovo e più florido capitolo della storia La Perla.

Crisi La Perla,è speculazione finanziaria interna?

Secondo Stefania Pisani, segretaria generale Filctem-Cgil Bologna che segue attivamente la vertenza, l’attuale crisi è frutto di una speculazione finanziaria messa in atto dalla proprietà di Windhorst. “Non sono le professionalità a mancare,. Enon si tratta di una crisi di mercato, perché la richiesta di prodotti La Perla c’è”, ha affermato in un’intervista a La Svolta. Pur non essendo immessi nel processo produttivo, i soldi non mancherebbero dato che le perdite del 2022 “sono state pagate dal fondo senza accedere al credito bancario”. I dipendenti sospettano che Windhorst stia operando un “giochino finanziario” facendo leva sulla reputazione del marchio. “Si fanno aumenti di capitale e si chiede di comprare le azioni dell’azienda. Ma chi decide di investire sta compiendo un’attività ad alto rischio. Non sa se riuscirà mai a riavere indietro quanto versato, visto che la produzione è ai minimi termini”. Un problema che però, secondo Pisani, non riguarderebbe solo La Perla, ma è emblema di una speculazione finanziaria che sta erodendo il mercato reale.