di Giuseppe Calabrese, CEO Secursat
Si ripresenta a ondate nelle società contemporanee la sensazione d’insicurezza, l’inatteso ci fa paura, ci spaventa e ci induce a chiedere più controllo per non rinunciare alle nostre libertà.
Il controllo e la sicurezza
Il controllo è leader della scena (anche plasticamente: la mascherina, il green pass, le telecamere, gli uomini in divisa). La politica promette disordinatamente sicurezza ed è quello che tutti pretendono e allora la sicurezza diventa un valore, rischio zero annuncia qualcuno, come se ciò fosse sufficiente ad elidere gli imprevisti, che sono la vita.
Le città si ripopolano di nuove paure, violenza minorile, disordinata nelle strade buie delle grandi città, una violenza spontanea, pigra; e le risposte? più uomini in divisa, più telecamere.
Nuovi attacchi
La società vive nuove forme di attacchi: alla rete, con i social, i virus, e le risposte? Confuse, incerte, rassegnati war games. La guerra in Ucraina e le nostre reazioni dapprima incredule, poi via via sbigottite diventano terrore, la paura prende il sopravvento e la ricerca delle ragioni arriva attraverso le considerazioni di decine di esperti, militari, civili, del mondo accademico, tutti a cercare altrove, da qualche parte le ragioni.
Dopo i virologi e i tuttologi, ecco i guerrologi, ma ancora una volta tutto appare improvvisato, estemporaneo, privo di visione, pianificazione, e la sicurezza torna ad essere controllo non strategia. Un’attitudine? Un’incapacità strutturale tutta nostra?
Un approccio sbagliato alla sicurezza
Quando l’economia è senza confini, il pianeta è digitalizzato, la mobilità nel mondo si è ridotta allo spazio di un giorno, si arriva e si parte in 24 ore dal posto più lontano, il tema della sicurezza è ancora affrontato con visioni di confini, di limiti territoriali, di responsabilità in ambiti metropolitani affidate ad improvvisati esperti, a piccoli comandanti di piccoli eserciti in divisa spostati senza senso in piani di mobilità urbana, a sindaci sceriffi o strateghi.
La sicurezza viene affrontata allo stesso modo con cui si realizzano piste ciclabili, si autorizzano monopattini e forme di bike sharing. La tecnologia è solo valutata in numero di apparati e di costi ma non di efficacia, di impatti; tutto serve. Dopo l’evento nessuna valutazione strategica, nessuna analisi dei fenomeni, nessuna verifica di adeguatezza delle contromisure. Le risposte restano inattese, insufficienti, parziali, tamponano l’ultima emergenza per attenuare la percezione d’insicurezza, solo per rassicurare.