Perché leggere questo articolo? Nel mondo aumenta la quota di persone al lavoro. E nei Paesi Ocse si va in controtendenza rispetto ai venti recessivi. Si lavora di più, ma meno ore e con salari più bassi.
Nel mondo avanzato c’è una voglia matta di lavoro: contro ogni tendenza storica mai registrata di recente, infatti, il sistema dei Paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) ha registrato di recente un boom di occupazione. La quota della popolazione in età lavorativa occupata nei 38 paesi membri dell’Ocse, che sono quelli dell’Occidente allargato (Ue, G7, più Stati come Australia, Nuova Zelanda, Israele, Colombia e Costa Rica) è salita oltre il 70% per la prima volta dal 2005, risultando in un boom occupazionale
Lavoro in volo nei Paesi Ocse
Nei 38 Paesi Ocse il 73,7% della popolazione lavora o cerca lavoro, un dato mai registrato prima. Tale boom ha rari precedenti in situazioni di recessione economica latente o palese in diversi contesti e di alta inflazione, ma si può spiegare come la coda lunga delle politiche anti-pandemiche, di ristoro delle crisi energetiche degli ultimi anni e dei cambiamenti demografici.
Molti studi forniscono diverse spiegazioni per la persistente forza del mercato del lavoro anche se il contesto economico si è indebolito. In primo luogo, il boost principale in molti contesti sembra essere stata l’ondata di assunzioni e nuovi posti di lavoro nel settore pubblico. Dal 2019 al secondo semestre del 2023, ad esempio, nell’area euro l’occupazione è salita dell’1,42% nel settore privato e di quasi il doppio, 2,76% nel pubblico. Tra le grandi economie spiccano la Spagna, con +2% da settore pubblico, e la Germania, +1,26 nel medesimo campo.
In secondo luogo, hanno giocato un fattore decisivo le politiche di formazione e sovvenzionamento, che si sono viste in Paesi come la Francia ove la piaga della disoccupazione giovanile è stata presa di petto. Producendo un +4,5% di occupazione nel settore privato dall’inizio del Covid-19 a oggi.
Lavorare meno (ore), lavorare tutti
In terzo luogo, c’è da sottolineare un combinato disposto tra mutamenti demografici e cambiamenti di preferenze. Da un lato, la popolazione attiva nel mercato del lavoro vede un ricambio tra un numero crescente di pensionati in uscita e un numero calante di giovani in entrata, ragion per cui l’occupazione tiene anche per il fatto che spesso le uscite, non più calcolate dalle statistiche, superano le nuove entrate in diversi Paesi.
Dall’altro, calano le ore lavorate mediamente per la crescita della flessibilità di orario. Le ore lavorate mediamente da ogni dipendente sono calate del 2% nell’area euro e tra lo 0,5% e l’1% nel resto dell’Ocse, come ha rilevato il Financial Times. Il quotidiano della City di Londra ritiene da un lato che la forza del mercato del lavoro sia oggi causa di un cambio di prospettiva rispetto all’era pre-pandemica. Ai tempi del quantitative easing globale, le banche centrali iniettavano denaro nei sistemi sperando di spingere alla produzione di attività e posti di lavoro.
Lavoro e inflazione
Oggi il boom occupazionale cozza con i problemi di un sistema alimentato da alta inflazione e tassi in crescita. In cui però la tenuta occupazionale difende la presenza del lavoro come motore dell’economia e dei consumi e ha alimentato le speranze che al boom dei tassi non si associ la classica crisi di disoccupazione che a tale processo è spesso associato.
La lettura dei precedenti che hanno accompagnato i periodi passati di rapido inasprimento della politica monetaria porta il presente ad essere in controtendenza perché “la crescita occupazionale si è concentrata in settori a medio o basso valore aggiunto” o nel pubblico, su cui “l’impatto del costo del denaro è meno profondo“. Ma al contempo la crescita occupazionale “ha anche consentito ai lavoratori di premere per una maggiore crescita salariale, soprattutto in paesi come il Regno Unito, dove la partecipazione alla forza lavoro rimane ancora ben al di sotto dei picchi precedenti. Le banche centrali temono che ciò possa alimentare un’inflazione elevata e costringerle a mantenere alti i tassi di interesse più a lungo”.
Lavorare di più, guadagnare meno
In quest’ottica, il vero dato da tenere d’occhio per il 2023 sarà, più ancora del tasso di occupazione, quello sulla crescita dei salari su tutto l’anno. Nel 2022 l’Ocse ha subito una contrazione media dei salari dell’1,9% a fronte di una crescita occupazionale. Se fosse così anche quest’anno, capiremo quanto del lavoro creato sarà stato capace di dare stimolo all’economia globale e alle prospettive del sistema-mondo in una fase difficile. In cui comunque si può dire che certamente la situazione non è a tinte fosche come il quadro macroeconomico e geopolitico lascerebbe presagire.