“Non possono esserci paradisi sicuri per coloro che hanno sostenuto l’invasione di Putin. Le sanzioni di oggi sono l’ultimo passo nella nostra spietata ricerca di coloro che consentono l’uccisione di civili, la distruzione di ospedali e l’occupazione illegale dell’Ucraina”. Così il premier britannico Boris Johnson ha commentato il nuovo giro di sanzioni che il governo di Londra ha approvato contro 204 persone fisiche e 65 organizzazioni.
Il dipartimento del Tesoro del Regno Unito ha congelato tutti i fondi e le risorse appartenenti, detenute o controllate direttamente e indirettamente a Roman Abramovich – interrompendo di fatto anche la cessione del Chelsea, la squadra di calcio campione d’Europa che il magnate aveva annunciato di voler cedere poche settimane fa – e di altri oligarchi ritenuti vicini a Vladimir Putin. Nella lista figurano Oleg Deripaska, proprietario dell’EN+ Group, Igor Sechin, a capo della Rosneft; ci sono poi figure politiche come lo stesso Putin, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e l’ex presidente filorusso della Repubblica ucraina Viktor Yanukovich.
Il Tesoro ha poi aggiunto in una nota come le sanzioni vengano applicate a personalità ed entità ritenute vicine a Putin, definito responsabile della “destabilizzazione dell’Ucraina, del suo indebolimento e della minaccia alla sua integrità territoriale, alla sovranità e all’indipendenza” – e per il loro sostegno al Cremlino.
Tra le organizzazioni colpite dalle sanzioni figurano le due repubbliche indipendentiste di Donetsk e Lugansk, la Federazione Russa e altri stati satelliti; i maggiori istituti di credito e banche del paese; e delle organizzazioni militari e paramilitare russe e indipendentiste. Poco dopo la ministra degli Esteri britannica, Liz Truss, ha imposto ulteriori sanzioni a 386 membri della Duma russa per il loro sostegno alle regioni separatiste filorusse di Luhansk e Donetsk, e all’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Mosca.