di Fabio Massa
Che cosa resta di Alitalia? Poco. E di valore. Ormai la procedura per la dismissione completa degli asset dell’ex compagnia di bandiera sta giungendo al termine. A suo modo, finisce un periodo storico con un’impresa storica. Quella dei tre commissari che hanno seguito la procedura. Gabriele Fava è uno di questi. Avvocato giuslavorista, ha l’ufficio d’angolo di un bel palazzo che affaccia su via Durini. Tennista appassionato, si è imbarcato in una impresa che sembrava impossibile.
“Facciamo un passo indietro – inizia Fava – l’amministrazione straordinaria inizia a maggio del 2017 a seguito della dichiarazione di insolvenza della società, all’esito dell’esperienza sfortunata della partnership con Etihad. L’avvio di questa procedura ha consentito la salvaguardia del patrimonio produttivo di una delle più importanti imprese strategiche del Paese, operante servizi essenziali per la collettività. Da allora, l’organo commissariale si è avvicendato più volte. Ci sono stati quattro Commissari Straordinari prima di noi”.
Perché sono stati cambiati i Commissari Straordinari durante la Procedura?
Perché è stata una crisi d’impresa estremamente complicata da gestire, che ha attraversato molteplici fasi, con prospettive mutevoli e con un diverso indirizzo politico. Anche questo ha certamente inciso: il vincolo fiduciario sussistente con l’organo di controllo, rappresentato dal Ministero dello Sviluppo Economico e dal Ministro stesso, che provvede personalmente alla nomina dei Commissari. Questa Procedura è passata attraverso diverse esperienze governative, consideri che siamo ora al quinto Esecutivo diverso! Ad ogni avvicendamento può accadere che il mandato venga rimesso alla libera valutazione del nuovo Ministro per senso di responsabilità.
Non è una cosa molto sensata, considerato che la partita è assai intricata.
Sono d’accordo, considerate tutte le complessità operative che possono derivare dall’eventuale discontinuità della Gestione Commissariale nella delicata fase di attuazione del Programma. La conduzione di Alitalia nelle more dell’esecuzione di un Programma già di per sé assai articolato, poi, presenta ancor più difficoltà sia per il settore nel quale opera, quello del trasporto aereo, che costituisce un mercato terribilmente competitivo e instabile, sia per la realtà aziendale che la contraddistingue, fatta di operazioni di volo e operazioni di terra, di servizi di assistenza aeroportuale, di manutenzione, di fornitori e creditori in ogni parte del mondo, di sedi straniere, di regolamentazione di settore, in Italia e all’estro; e poi i dipendenti e i sindacati, i rapporti con il Tribunale, lo stato passivo, il Ministro di riferimento, Palazzo Chigi e l’Europa. Relazioni ed equilibri delicatissimi.
A che punto siamo? Perché i giornali hanno scritto che con l’ultima cessione di fatto si è chiusa definitivamente la storia di Alitalia.
Abbiamo attuato il Programma dell’Amministrazione Straordinaria, come da ultimo modificato ai sensi delle norme introdotte a maggio 2021 per ottemperare agli impegni assunti dal Governo italiano con la Commissione europea. Abbiamo prima ceduto il perimetro “Aviation”, ovvero le operazioni di volo, al nuovo vettore a partecipazione pubblica Italia Trasporto Aereo, “ITA Airways”, con trattativa privata autorizzata a condizioni di mercato ed in discontinuità con il passato. Poi abbiamo provveduto alla cessione dei rimanenti rami aziendali, afferenti alle attività di handling sugli scali di Fiumicino e Linate ed alle attività di manutenzione svolte in Italia e presso numerose basi straniere, attraverso procedure ad evidenza pubblica avviate con bandi pubblicati a cavallo tra il 2021 e il 2022. Il patrimonio produttivo è stato messo in sicurezza e ora i rami aziendali sono gestiti da primari operatori nei rispettivi settori di mercato. Siamo molto soddisfatti.
Bad company & good company insomma?
Questa dicotomia appartiene più alle aziende non ancora sottoposte a procedure concorsuali che provano ad affrontare la crisi scorporando le parti efficienti dell’impresa. Con l’avvio dell’Amministrazione Straordinaria lo scenario muta radicalmente. E’ la legge che prevede la finalità conservativa del patrimonio produttivo delle grandi imprese del Paese mediante la prosecuzione, la riattivazione o la riconversione delle attività imprenditoriali. E quanto l’impresa presenta concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico, tale finalità può essere realizzata tramite la ristrutturazione dell’impresa ovvero attraverso la cessione dei complessi aziendali o dei complessi di beni e contratti laddove la società sia operante nel settore di servizi pubblici essenziali. E’ quanto abbiamo fatto noi, raggiungendo l’obiettivo.
Ma quanto manca a chiudere la storia di Alitalia?
Poco. Il Programma sulle attività imprenditoriali destinate alla prosecuzione, come detto, è stato completato. Ora dobbiamo completare anche le procedure per la dismissione dei beni non funzionali all’esercizio di impresa, tra cui la partecipazione azionaria in Italia Loyalty S.p.A., che è la società che gestisce il programma “MilleMiglia”.
Che cosa c’entrano le mille Miglia adesso?
E’ una conseguenza della decisione della Commissione europea, che ha ritenuto non potesse essere ceduta ad Italia Trasporto Aereo la “customer base” di Alitalia, rappresentata non solo dai passeggeri che avevano acquistato i nostri biglietti, ma anche dai soci aderenti al programma MilleMiglia. E’ stato uno degli elementi di valutazione della discontinuità economica tra i due vettori. E’ un vero peccato, perché la società ha grande valore strategico nell’ambito del trasporto aereo nazionale, disponendo di oltre 6 milioni di soci fidelizzati. Inoltre, non ha debiti e dispone di importanti risorse finanziarie, essendo sempre riuscita produrre utili nella sua storia, anche negli anni della pandemia.
Poi?
Stiamo completando anche la vendita degli aeromobili ancora in flotta. Il mercato ha mostrato interesse, nonostante la depressione dovuta agli effetti prodotti sul mercato dalla pandemia negli ultimi anni.
Perché non li avete ceduti a ITA allora?
Sempre in ragione della discontinuità economica tra Alitalia e Italia Trasporto Aereo. Il piano industriale di quest’ultima è stato discusso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con la Commissione europea, ed è stato deciso che il vettore pubblico non potesse acquisire da Alitalia più di 52 aeromobili al momento del trasferimento del perimetro Aviation. L’Amministrazione Straordinaria si è trovata nella non facile condizione di dover gestire la situazione, senza potersi prima confrontare sulle esigenze da assecondare e sulle scelte da operare per addivenire al miglior contemperamento di tutti gli interessi. In conseguenza della decisione della Commissione europea, cui abbiamo dovuto adeguare il Programma ex legge (ndr ai sensi dell’art. 11-quater del D.L. n. 73/2021) la Procedura ha inoltre dovuto operare il frazionamento e la perimetrazione di rami aziendali dapprima privi di autonomia funzionale, sia con riguardo a sistemi ed attività centralizzate, sia in relazione a fornitori comuni e contrattualizzati con Alitalia quale unico centro di interessi. Il famoso “spezzatino”. Facciamo però un piccolo passo indietro. Quando vengo nominato dal ministro Giorgetti, quasi due anni fa, ho approfondito moltissimo il dossier e mi sono accorto che, seppure non agevole, avrebbe potuto essere provata la via della ristrutturazione di Alitalia, secondo logiche di mercato. Provare a farla tornare in bonis attraverso strumenti concordatari e, quindi, avviarla ad un processo per farla stare in piedi come una normale azienda, con un nuovo posizionamento a livello di mercato e senza aiuti di stato, ma con prospettive di investimento in termini di operatore privato.
E invece no. Non è andata così.
Non sarebbe comunque stato semplice. Si sarebbero dovuti modificare in corsa a livello istituzionale, sia italiano sia europeo, l’approccio al dossier e le prospettive. Un iter possibile solo con un sostegno politico coeso e una forte spinta innovatrice, difficilmente immaginabili in un momento storico tra i più complicati dal secondo dopoguerra per le contingenze emergenziaii che il Paese ha dovuto affrontare. Senza dimenticare poi impegni normativi e burocrazia, che vincolano le possibilità di movimento all’interno di un’amministrazione straordinaria.
Ma era possibile rimettere a posto Alitalia? Qui si entra nel mito: gli italiani per decenni hanno visto governi su governi affermare “facciamo rinascere Alitalia”, per poi trovare sempre un buco nero.
Come ho detto sarebbe stato possibile, seppure estremamente complicato. A un certo punto dipende dalla volontà e dagli uomini. Io, assieme ai miei colleghi Commissari, abbiamo messo il nostro impegno e la nostra professionalità a completa disposizione delle istituzioni, con costi, tempi e obiettivi ben definiti. Abbiamo ereditato una situazione difficile, che scontava la necessità di far salvi due principi: no aiuti di Stato e discontinuità. E questo va bene, anche se – a mio avviso – si sarebbero potuti declinare in funzione delle peculiarità del Paese. In questo caso, la sintesi degli interessi non ha portato al risultato ideale. Lo dico con amarezza, ma nella mia carriera di avvocato non ho mai visto un’operazione societaria in cui l’avviamento non venga trasferito all’acquirente.
Qual è l’avviamento?
Nel caso di Alitalia, l’avviamento ha molteplici sfaccettature. I passeggeri, i biglietti venduti, ma anche e soprattutto la miglia accumulate dai clienti fidelizzati. Milioni di referenze. La parte business, la clientela che fa sopravvivere l’azienda. Non è passato nulla. Peraltro, alla procedura di vendita della partecipazione azionaria in Italia Loyalty S.p.A., Italia Trasporto Aereo non potrà neppure partecipare.
Cioè, mi faccia capire: ITA non potrà partecipare alla gara per il boccone pregiato?
Esatto. E’ esclusa. Potrà partecipare chiunque altro, operante in qualsiasi settore, ma non Italia Trasporto Aereo.
E perché?
Perché così è stato stabilito nella decisione della Commissione europea che ha valutato il piano industriale di Italia Trasporto Aereo. Rientra tra gli impegni che devono essere ottemperati quali condizioni all’investimento pubblico nel vettore.
Torniamo alla liquidazione. Quali sono stati i momenti più difficili?
Quando siamo arrivati avevamo una situazione molto complessa da gestire, non solo perché l’azienda era fiaccata da circa 4 anni di amministrazione straordinaria, con prospettive non certe sull’evoluzione della discussione istituzionale tra il Governo italiano e la Commissione europea, ma anche per la disastrosa situazione del mercato del trasporto aereo a livello mondiale, per effetto della pandemia. Consideri un’attività ridotta fino al 95%, con costi spaventosi – uno per tutti, carburante e personale con oltre 11.000 buste paga. La situazione, inoltre era aggravata dalle limitazioni imposte ad Alitalia, quale azienda in crisi, per l’accesso alle misure compensative stanziate a livello governativo per far fronte all’emergenza. Misure cui i maggiori player mondiali hanno invece fatto ricorso per miliardi di Euro. Con i ricavi pressoché azzerati e l’impossibilità di accedere ai sostegni necessari non è stato agevole far fronte a tutte le pendenze. Io mi sono attivato personalmente con tutti i principali stakeholders, che devo oggi ringraziare per aver consentito, con grande senso di responsabilità, che un’infrastruttura strategica per il paese, qual è Alitalia, abbia potuto continuare ad assicurare, anche nel momento più nero della fase emergenziale, la mobilità e la continuità territoriale, l’approvvigionamento di presidi sanitari ed il rimpatrio dei tanti connazionali dall’estero. Servizi pubblici essenziali negati dai vettori stranieri che, nel momento della crisi sanitaria, hanno preferito lasciare scoperto il nostro Paese per fare i loro interessi.
E i sindacati come hanno reagito?
Benissimo. Quando sono arrivato, tutti sapevano chi ero. Giuslavorista datoriale e quindi mi vedevano come il killer. Potevano pensare che fossi stato messo in Alitalia per assumere provvedimenti drastici. La primissima che cosa che ho fatto è stato chiamare le sigle. Ho detto loro avevo un unico obiettivo: quello di cercare di salvare tutti, garantendo le migliori prospettive di salvaguardia della forza lavoro. Siamo tutti sulla stessa barca. Sì, io sono il capitano, ma dobbiamo remare tutti nella stessa direzione per un risultato condiviso. Io ho cercato di essere il più corretto, il più disponibile e il più trasparente possibile e questo atteggiamento è stato molto apprezzato.
Quali erano le imposizioni?
Gli stakeholder, le norme di riferimento, gli organi vigilanti. Comunque ho cercato di avere un rapporto strutturale organico con loro. Vedendoci ogni volta a tappe e cercando di condividere anche situazioni delicate. Ad esempio, abbiamo dovuto sospendere due volte il 50% del pagamento degli stipendi. Sai cosa vuol dire non pagare lo stipendio a delle persone che magari sono monoreddito, con mutuo, eccetera? Noi ce ne siamo resi conto e con i sindacati abbiamo trattato, dicendo che dovevamo chiedere un sacrificio. Per questo noi stessi commissari non ci siamo liquidati niente, perché ci rendevamo contro dell’estrema serietà e delicatezza della situazione. I sindacati hanno capito e ci hanno seguito. Qualche manifestazione c’è stata, ma sempre nel rispetto dei ruoli e nell’ambito di un sano confronto.
E la cassa integrazione?
La CIGS è prevista fino alla fine del 2023. Non sono in grado di predire quante risorse saranno ancora in azienda a quella data. Molto dipende dalle assunzioni che i cessionari dei nostri complessi aziendali intenderanno operare dal nostro bacino in questo arco di tempo. Le posso però dire che la stragrande maggioranza dei dipendenti Alitalia è dotata di capacità professionali ed esperienza non comuni. Hostess e steward molto utili anche in altri settori, quali ad esempio l’hotellerie e la ristorazione di lusso, dove manca personale. Di concerto con i sindacati ho di recente lanciato un progetto di politica attiva, sostenuto anche a livello istituzionale, con l’unico obiettivo di ricollocare ogni esubero.