di Andrea Muratore e Federico Giuliani
In questi anni a cavallo della pandemia le relazioni economiche internazionali si sono fatte sempre più competitive, sia a livello globale che nel quadro più specifico delle varie alleanze geostrategiche. Per questo, paesi come l’Italia hanno iniziato a temere le conseguenze di lungo periodo delle scalate straniere all’economia nazionale, dell’acquisizione di componenti pregiate del sistema economico, forti in termini di know-how e tecnologie di risorse difficilmente sostituibili, da parte di attori stranieri.
Che cos’è il golden power
Il timore è particolarmente sentito in un sistema-Paese in cui aziende spesso depositarie di brevetti o potenzialità strategiche soffrono di sottocapitalizzazione o debolezza finanziaria. Dal 2010 al 2019 il valore delle acquisizioni di industrie italiane dall’estero (40 miliardi), infatti è di gran lunga superiore alla somma delle acquisizioni di italiani all’estero (16,6 miliardi) e di italiani fra italiani (10,4 miliardi).
Per ovviare nell’ultimo decennio è stata elaborata una disciplina per tutelare lo Stato da minacce all’interesse economico nazionale che prende il nome di golden power. Introdotto dal governo Monti nel 2012 poi sviluppatosi in una serie di leggi e regolamenti sempre più complessi, concede al governo poteri di scrutinio, interdizione, indirizzo e orientamento nelle transazioni riguardanti acquisizioni straniere di aziende operanti in settori quali la difesa e la sicurezza nazionale, nonché in attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, trasporti e telecomunicazioni. Nel corso degli anni il perimetro ha assunto dimensioni sempre crescenti, includendo i semiconduttori, le tecnologie dual-use e, dopo il Covid-19, banche e assicurazioni.
Potenzialità e problemi
Fornire al decisore un pulsante di stop o poteri di condizionamento per transazioni ritenute a rischio è visto come uno strumento valido al sistema-Paese in una fase in cui la competizione globale fa avvertire la necessità di sviluppare una “geopolitica della protezione”, riscoprendo il dettame economico già caro ad Adam Smith: non esiste prosperità senza sicurezza. Una lezione ben chiara a Stati Uniti, Cina, Regno Unito, Francia, Germania.
D’altro canto, se è vero che il Golden Power nasce come strumento per scongiurare razzie economiche ai danni dell’economia italiana, è altrettanto vero che il suo esercizio dovrebbe essere utilizzato con parsimonia. Ci troviamo così di fronte a un dilemma quasi paradossale: considerare tutte le aziende italiane strategiche può lasciare presupporre che niente sia davvero strategico. È doveroso che uno Stato individui e protegga tutte quelle aziende che, in base al periodo storico, considera determinanti ai fini dell’interesse nazionale. Tuttavia, schermare semplicemente queste aziende da più o meno ipotetiche scalate ostili – presupponendo che ogni scalata sia ostile – rischia talvolta di bloccare la loro crescita.
Prendiamo come esempio un’azienda privata attiva in Italia nel campo della ricerca scientifica e nella salute pubblica, che decide di incrementare le proprie attività stimolata dalla risposta alla pandemia. Considerando che l’Italia ha un numero limitato di campioni del genere, con il passare dei mesi il nome dell’impresa inizia a farsi strada ai piani alti dell’esecutivo. Cresce la sua notorietà, e anche il suo valore economico. Da azienda quasi locale e semi sconosciuta, inizia così ad essere apprezzata anche a livello nazionale e perfino internazionale. Il personale aumenta, mentre l’azienda è tutelata coi poteri speciali da possibili scalate. Questo però crea un cortocircuito quando alla porta dell’azienda bussano investitori stranieri. Russi, arabi, indiani, cinesi, tutti pronti ad acquistare la sua azienda pagando il doppio – se non il triplo – del valore di mercato.
Tra paure e nuove possibilità
Il nostro imprenditore si ritrova quindi bloccato e magari pure con in mano un bel pugno di mosche. Una volta che nasceranno altre aziende simili alla sua, o quando la pandemia non sarà più in cima all’agenda internazionale, la strategicità di quell’impresa andrà lentamente a scemare, così come il suo valore di mercato. Il fondatore dell’innovativa azienda è stato costretto a rinunciare a un guadagno di tutto rispetto per il bene dell’interesse nazionale, senza però che nessuno sia stato in grado di fornirgli neppure un magrissimo premio di consolazione.
È dunque fondamentale che l’Italia inizi a supportare le aziende strategiche “dalla culla alla tomba”, e non soltanto in fase iniziale quando le autorità la definiscono strategica e la difendono da scalate ostili provenienti dall’estero. Senza un piano strutturale capace di fornire tutto il supporto necessario per continuare a investire in Italia, c’è il rischio che la difesa venga percepita dalle aziende come una sorta di spada di Damocle.
Per salvaguardare il proprio campione economico il governo potrebbe sì respingere l’assalto straniero ma, allo stesso tempo, assicurare all’imprenditore o al fondatore dell’impresa risorse e tutele altrettanto adeguate. Soltanto così l’Italia potrà veramente iniziare a competere con le grandi potenze economiche e industriali dell’Europa (e non solo).
Il golden power e lo “Stato Stratega”
Bisogna dunque pensare al golden power come alla norma abilitante per permettere allo Stato di capire dove presidiare maggiormente l’economia per fare, con discrezione, una politica industriale volta a unire processi di difesa dell’interesse nazionale a legittime tutele dell’accrescimento dell’impresa privata. Ora più che mai appare chiaro che la politica industriale sia da pensare come una questione sistemica.
Come fatto notare su Econopoly, è “un terreno d’azione in cui lo Stato è chiamato a prendere consapevolezza della natura competitiva delle relazioni economiche globali nell’era internazionale, a cogliere l’evoluzione delle catene del valore e della produzione su scala globale, a creare le condizioni per far sì che l’Italia possa inserirsi nel loro sviluppo, coglierne i migliori frutti in termini di crescita economica e relazioni commerciali”. Il passaggio da Stato-imprenditore (come nella Prima Repubblica) o Stato-regolatore (come dagli anni Novanta ad oggi) a uno Stato-stratega, capace di proteggere il sistema economico e di segnalare il suo sostegno alla tutela dell’interesse pubblico.
Il golden power è come la fondamentale squadriglia navale che scorta la portaerei nerbo di una flotta: l’assicurazione sulla sua tenuta, la protezione ai fianchi, la garanzia della capacità di operare attivamente. Altra soluzione non c’è: il golden power, isolato, può essere un simbolo di debolezza da parte dello Stato. In un contesto più ampio, contribuisce al benessere e alla sicurezza del Paese nel contesto internazionale. Purché si sappia che è un potere da maneggiare con cura.