“Il nostro Mes è lei, presidente Draghi”: così in Senato, il 17 febbraio 2021, Davide Faraone, esponente di Italia Viva, sottolineava il suo entusiasmo per la nomina dell’ex governatore della Bce alla presidenza del Consiglio. Sottolineando come l’effetto Draghi avrebbe, a suo avviso, allontanato ogni rischio di tracollo economico del Paese, ovviato ai problemi del governo Conte II, rafforzato la crescita economica del sistema-Paese.
Draghi un anno dopo: scenari completamente mutati
Un anno dopo il Draghi che guidava a passo di carica una maggioranza che gli aveva dato carta bianca è diventato il premier di una coalizione divisa e in perenne clima pre-elettorale; l’inflazione vola ai massimi da oltre un decennio, i prezzi delle bollette esplodono, lo stimolo della Bce, vero e proprio ombrello atomico sulla nostra economia, è in esaurimento, la crescita è minacciata e dal letargo sta uscendo perfino un protagonista d’annata, lo spread. Tornato ad impennarsi oltre 160 punti base dopo che nei giorni scorsi, prezzando le tensioni globali, i Btp decennali hanno sfiorato per la prima volta dal 2020 ad oggi quota 2% di rendimento. E il Meccanismo Europeo di Stabilità, l’apparato europeo più legato all’idea di austerity e condizionalità, torna nuovamente a incombere sul sistema-Paese.
Roma verso una adesione tout court al Fondo salva-Stati
Non stiamo, in questo caso, parlando del Mes “sanitario”, i famigerati 36 miliardi di euro su cui il governo Conte II si è diviso fino ad avvitarsi proprio per le richieste di Italia Viva. Ricordate i dieci punti di Zingaretti, che prospettava in caso di attivazione della linea di credito Mes sanitario la creazione di un giardino delle delizie per l’Italia fatto di ricerca, digitalizzazione, medicina territoriale, medicina di base, aumenti di personale e terapie? Ricordate le polemiche e il consenso ampio alla mossa data dai quotidiani del gruppo GEDI, di Cairo, di Caltagirone? Ebbene, quello che la Commissione Europea e la Bce intendono in futuro compiere potrebbe portare Roma non tanto sulla strada di una linea di credito comunque secondaria quanto piuttosto all’adesione tout court al Fondo salva-Stati, con le sue complessità fatte di condizionalità, riforme austeritarie, tagli di bilancio.
Il ruolo del Mes nella gestione dello spread
Da tempo “i mercati hanno incorporato le aspettative di un inasprimento della politica monetaria già dalla prossima riunione del Consiglio direttivo di marzo: un innalzamento dello spread per i Paesi più indebitati come l’Italia”. Questo è l’allarme lanciato parlando con Il Sussidiario da Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fmi. Il quale nota che “venendo meno la prospettiva di acquisti netti di titoli di stato sul mercato secondario da parte della Bce, che ha rappresentato lo strumento principe con cui si sono tenuti a bada i differenziali, si riaffaccerà il dibattito su come gestire lo spread e quale ruolo calmieratore in quel contesto può avere il Mes”. Aggiungiamo a ciò il fatto che la Commissione Europea ha rimandato a giugno le nuove discussioni sul futuro delle regole di bilancio e noteremo come tra la primavera e l’inizio dell’estate è destinata ad aprirsi in Ue una fase di acutissima volatilità. E l’Italia rischia di trovarsi al centro del mirino.
Le tre ragioni per cui l’Italia rischia di trovarsi al centro del mirino
Questo per una serie convergente di ragioni:
1. La fine dello stimolo pandemico della Bce farà avvitare verso l’alto il costo del debito. Dal 18 marzo 2020 la Bce ha messo in campo oltre 1.500 miliardi di euro tra vecchi e nuovi programmi per tamponare le crisi. L’economista Leonardo Becchetti ha sintetizzato le dinamiche innescate dalla Bce in un’analisi pubblicata su Avvenire: in questa fase in Europa “stiamo vivendo de facto una ‘quasicancellazione’ di una quota rilevante del debito con l’attuale politica della Bce di acquisto di titoli pubblici degli Stati membri, impegno non dichiarato a riacquistare nuovi titoli a scadenza e retrocessione dei guadagni da interesse ai Paesi membri”. La fine degli acquisti farebbe finire questa fase di Bengodi.
2. L’inflazione morde ferocemente e c’è il rischio che la fine degli stimoli causi un parallelo innalzamento del costo del servizio al debito e dei prezzi nell’economia reale. Uno sversamento di parte della quota di inflazione reale nel mondo finanziario rischierebbe di travolgere l’Italia.
3. Roma è il Paese che, Spagna esclusa, è più indietro nel recuperare i danni economici causati dalla recessione da Covid e, assieme alla Grecia, l’unico sotto il Pil del 2007, prima della Grande Recessione.
In questo contesto riprenderebbe quota l’ipotesi del ricorso emergenziale al Mes al concordante verificarsi di tre condizioni: blocco degli acquisti Bce e susseguente stallo nel finanziamento al debito italiano; prolungamento della fase ad elevata inflazione e contestuale sdoganamento di misure economiche emergenziali contro il carovita in Italia (il decreto sulle bollette è un primo esempio); muro contro muro in Europa sulle regole future. La Commissione Ue ha fatto presente da tempo che il ricorso Mes è studiato per i Paesi che non riescono a rifinanziare il proprio debito. Il verificarsi di un fatto del genere per l’Italia, viste le proporzioni del debito, rappresenterebbe uno scenario di particolare gravità.
Agenzia europea del debito e Mes
Inoltre, il fatto stesso che Mario Draghi ed Emmanuel Macron abbiano indicato nel Mes la bad bank su cui costruire la proposta Agenzia Europea del Debito studiata da Francesco Giavazzi indica come l’orizzonte dell’immanenza di questa istituzione sia ben chiaro ai decisori.
Per Draghi l’essere il premier italiano del ricorso al Mes sarebbe una sorta di “contrappasso” fondamentale. Il “Governo dei Migliori” si trova a gestire la fase più acuta della recessione avendo le armi spuntate. E in una fase che fino alle elezioni presidenziali francesi resterà ancora incerta difficilmente la situazione potrà cambiare. Il ricorso al Mes sarebbe l’attestazione di un fallimento della risposta alla crisi che nessun esecutivo potrebbe permettersi. Men che meno uno presieduto da Mario Draghi. Il quale dovrà comunque doppiare lo scoglio del fondo salva-Stati. Del resto, a Bruxelles attendono con impazienza la ratifica italiana della riforma del Mes, capitolo cruciale in vista di un vertice informale dei leader Ue del 10 marzo e del Consiglio europeo di fine mese.
Come reagirà il Parlamento al Fondo per i Paesi europei in crisi?
Qualche giorno fa, al Tesoro, Daniele Franco si lamentava delle difficoltà che l’esecutivo incontrerà alle Camere sul Fondo creato per soccorrere i Paesi europei in crisi. Sono mesi che il ministro dell’Economia sostiene che vada ratificato al più presto, ma il rischio di una spaccatura nella maggioranza sul via libera italiano a un passaggio del tutto burocratico ma dall’alto valore simbolico in questa fase delicata è tutto fuorchè da escludere. Settori importanti del Movimento Cinque Stelle e buona parte della Lega potrebbero unirsi a Fratelli d’Italia e Alternativa nel bloccare questo passaggio. Dando un sonoro schiaffo a Draghi davanti all’Europa. Ci vien da chiedere se Bruxelles valga davvero un Mes, visti tutti questi rischi.