L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha riacceso un dibattito mai sopito in Italia: quello sulla spesa della Difesa. Eccezion fatta per i tempi di guerra, l’informazione sulle questioni militari è spesso imprecisa. Prima ancora che discutere sugli armamenti e su cosa comporterebbe l’aumento delle spese militari, sarebbe forse opportuno chiedersi come è strutturata la spesa italiana per la Difesa?
Questione di struttura
“Quando si parla di spesa per la difesa ciò che è importante è la sua struttura”. Esordisce così Vincenzo Camporini – ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare e della difesa e consulente dell’allora Ministro degli Esteri dei primi governi Berlusconi, poi candidato per +Europa – in un’intervista al Corriere della Sera in cui fa il punto sul modello di bilancio del nostro paese.
“E’ una valutazione da tutti condivisa – prosegue il generale – che un sano bilancio debba prevedere il 50% per il personale, in pratica gli stipendi; il 25% per l’acquisizione e l’ammodernamento dei sistemi d’arma e il 25% per l’esercizio, cioè per l’addestramento e per la manutenzione in efficienza dei mezzi.
Come spende il bilancio l’Italia?
Il nostro paese è però lontani dal rispettare questi parametri. Spensiamo ben al di sopra del 70% per il personale, il 18% per l’ammodernamento e meno del 10% per le attività addestrative e di manutenzione delle dotazioni.
Ci sono delle particolarità che in parte possono giustificare il caso italiano, su tutte il fatto che si debba annoverare tra l’Arma dei Carabinieri, che fa parte delle Forze Armate, ma che dipende operativamente quasi interamente dal ministero dell’Interno e le cui spese gravano prevalentemente sul bilancio della Difesa.
Cosa può fare il governo?
Sul breve periodo il governo non può intervenire per contenere la spese per il personale. Da tempo il Parlamento spinge per riequilibrare le spese del bilancio della Difesa, riavvicinando le percentuali ai riferimenti indicati dagli esperti. In quest’ottica dovrebbero essere erogati anche i fondi del Pnrr.
Secondo il generale Camporini, “Le considerazioni fin qui fatte, tuttavia, peccano di una grave forma di miopia, in quanto centrate su una prospettiva nazionale”. E’ ormai chiaro a tutti che gli eserciti devono muoversi in un’ottica multinazionale, in particolare europea, per permettere di utilizzare in maniera efficace le risorse finanziarie che ciascun Paese destina alla difesa.
Le cause degli sprechi
Dietro gli sprechi e i modelli disfunzionali di spesa ci sono numerose ragioni. Il costo di strutture di gestione e di comando lievita in un’ottica frammentata dove ogni paese ha una propria industria militare, gelosamente protetta a livello nazionale, che contribuisce a moltiplicare i sistemi di combattimento. Vengono invece impedite le economie di scala.
Il generale conclude osservando l’urgenza “di procedere verso un Unione sempre più stretta” in cui la convergenza in tema di politica estera renda possibile la progressiva integrazione degli strumenti militari. Ciò consentirebbe non solo l’acquisizione di capacità che da soli non si possono ottenere, ma anche di eliminare gli sprechi che riducono in modo inaccettabile il rendimento della spesa militare.