Perché leggere questo articolo? La tecnologia è da sempre determinante per l’equilibrio tra le potenze. Alessandro Aresu parla con True delle sue determinanti geopolitiche più importanti, tra cui la corsa per dominare le filiere più strategiche
Alessandro Aresu, analista geopolitico, storica firma di Limes e consigliere scientifico della medesima rivista diretta da Lucio Caracciolo, consigliere di Palazzo Chigi ai tempi del governo Draghi, non ha dubbi: la tecnologia è uno dei determinanti dell’equilibrio di potenza odierno. Il suo saggio più recente, Il dominio del XXI secolo, racconta le dinamiche più complesse e strategiche della corsa tecnologica e geopolitica tra le grandi potenze globali, Usa e Cina in testa, e le ricadute mondiali di una partita a tutto campo. Litio, terre rare, chip: la partita è multilivello. Usa e Cina ne sono i protagonisti, ma l’Italia deve avere un’agenda assieme all’Europa. Di questi tempi parliamo parla oggi con True News.
Litio, terre rare, materiali critici. Si parla sempre di più di queste risorse strategiche su scala globale. Come si struttura la corsa geopolitica per il loro controllo?
L’espressione “terre rare” cattura l’attenzione per il suo aggettivo ma come è noto questi componenti chimici non sono “rari”. Il punto, in estrema sintesi, è che estrarli non è stato considerato conveniente da molti attori, e che in pochi hanno costruito capacità di raffinazione per la diffusione di vasta scala che caratterizza anche materiali tutt’altro che rari, come il litio, nel contesto delle enormi necessità delle trasformazioni industriali e tecnologiche. Le capacità chimiche della Cina, invece, sono notevoli. E proprio la chimica rappresenta un ambito sottovalutato di interesse per l’Europa, dove decisori e regolatori sono ancora poco consapevoli del suo ruolo centrale nelle filiere dei semiconduttori e delle batterie. Quindi dobbiamo capire che la difesa e valorizzazione delle capacità chimiche europee è parte dell’equazione e che poi per tutto c’è una tempistica tra ambizione e realizzazione.
Sull’auto elettrica com’è invece lo scenario?
Nel caso dell’auto elettrica, poi, sono state applicate alle tecnologie –soprattutto giapponesi e coreane – le economie di scala cinesi. Ciò nella fase della storia che abbiamo vissuto ha già portato alla crescita di giganti come CATL e BYD, aziende di cui ho parlato nel mio libro e di cui sentiremo sempre più parlare negli ultimi anni, perché il loro successo porterà a scontri sulla sicurezza nazionale. Almeno, questa è la mia previsione.
In Italia si è di recente parlato molto delle prospettive legate alla presenza di miniere di litio potenzialmente sfruttabili. Cosa c’è di fattibile?
È opportuno che l’Italia, senza farsi illusioni improvvise, mappi le sue risorse in modo attento. D’altra parte, molti dimenticano che Enrico Mattei nei suoi primi anni all’AGIP diede grande importanza alla cultura geologica e chimica italiana, valorizzando e rilanciando alcuni studi che erano già in corso. Come proposto da Gianclaudio Torlizzi per Luiss Policy Observatory, è opportuno strutturare un Piano Minerario Nazionale.
Dalla transizione energetica all’auto elettrica, passando per le tecnologie digitali, il tema della corsa agli asset critici si unisce con quella dell’autonomia dell’Europa nella grande sfida Usa-Cina. Che prospettive ci sono su questo fronte?
Secondo me parlare di “autonomia strategica” e “sovranità tecnologica” è inutile. Mi sono ormai convinto che sia tempo perso. Meno retorica e più concretezza. La concretezza si ottiene conoscendo i laboratori e le aziende che muovono il mondo invece di elaborare concetti che restano lì per 10, 20 anni senza essere utili. Noi europei dobbiamo analizzare le aziende di cui disponiamo, dobbiamo conoscere quello che fanno le aziende chimiche e di test, le imprese meccaniche, di materiali e della filiera dei semiconduttori. Dobbiamo studiare le supply chain. Potremo parlare di “autonomia strategica” quando almeno il 30% degli europei saprà cos’è ASML. Prima, ogni minuto dedicato all’autonomia strategica è un minuto sottratto a capire ASML.
Sul piano delle tecnologie strategiche, ha dedicato molta attenzione nei suoi studi alla filiera dei chip. La corsa incrociata al bando che rischia di scatenarsi tra Usa e Cina condizionerà la guerra dei chip?
La condiziona già. Io mi sono occupato negli ultimi cinque anni della filiera dei semiconduttori perché mi interessano la sicurezza economica e la sicurezza nazionale. Ho studiato in particolare gli strumenti dell’allargamento degli interventi di sicurezza nazionale nell’economia (politiche industriali, scrutinio degli investimenti, sanzioni, controlli sulle esportazioni) perché a mio avviso la tendenza globale in corso è l’ipertrofia della sicurezza nazionale. I discorsi di Janet Yellen e Jake Sullivan riflettono esattamente la tendenza che ho dimostrato nei miei saggi e nei miei libri, dal 2017 a oggi. Ora, questa tendenza si sviluppa attraverso i settori, e sicuramente attraverso “l’industria delle industrie”, che nel nostro mondo è la filiera dei semiconduttori.
Un settore che lei studia da tempo con attenzione…
Ha iniziato a interessarmi proprio perché negli anni ’80 ha portato ai poteri di blocco del comitato statunitense sugli investimenti esteri (CFIUS), col caso Fairchild-Fujitsu, nella guerra commerciale e tecnologica USA-Giappone. Il 2015, col Piano Made in China 2025 e la tensione tra Micron e Tsinghua Unigroup, porta una prima, ridotta attenzione sulla guerra dei semiconduttori tra Stati Uniti e Cina. Poi, per via delle ambizioni cinesi sulla filiera, gli Stati Uniti allargano a dismisura l’ambito di applicazione della sicurezza nazionale, con armi potenti, come quelle verso Huawei e i controlli sulle esportazioni del 7 ottobre 2022. Ciò crea un incentivo all’autonomia della Cina, che allo stesso tempo ha bisogno di altri attori, che allo stesso tempo aderiscono politicamente alla sfera statunitense ma non sempre possono rimuovere dai loro progetti il mercato cinese. Perciò la partita è così interessante.
Che scenari vede per l’industria di Taiwan in questa sfida?
Sul piano culturale, il fatto che il mondo e l’Italia conoscano di più Morris Chang rispetto a 5 anni fa è una cosa positiva. Me ne compiaccio. Come si può non essere ispirati dalla storia del fondatore di TSMC? Il suo modello di impresa e il modo con cui è intervenuto nella filiera dei semiconduttori andrebbe studiato in tutte le business school. Detto questo, l’industria di Taiwan, l’ecosistema incredibile che ha al suo centro TSMC, può essere vittima del suo successo, perché la riduzione del rischio politico vuol dire non essere troppo dipendenti dal posto dove le cose si fanno meglio. Questo vale in generale e ancor più se è un posto particolare dal punto di vista geopolitico. Ciò rende ancora più importante studiare, con umiltà e curiosità, la capacità di Taiwan di costruire un ecosistema tra impresa, formazione, ricerca, cultura del lavoro. Vedo che avanza un discorso negli Stati Uniti per cui il successo di Taiwan sarebbe puramente dovuto ad elementi valutari. No, il segreto del suo successo è molto più profondo.
Sul fronte della tecnologia, ultimamente fa molto discutere la partita sull’intelligenza artificiale e sui suoi usi. Come rientra nella sfida delle tecnologie per il dominio del futuro?
L’intelligenza artificiale necessita di capacità di calcolo pertanto alcune aziende, come Nvidia, se ne sono di fatto la precondizione. Il suo Jensen Huang ha proclamato con ChatGPT “il momento iPhone dell’intelligenza artificiale”, ovvero la sua diffusione su vastissima scala come opportunità commerciale. Ha anche affermato che, così come regoliamo la chimica e altri settori, dobbiamo regolare anche l’intelligenza artificiale. Sicuramente nel breve periodo continueremo a discutere della diffusione commerciale dell’intelligenza artificiale e della necessità di regolazione, oltre che del legame con la sicurezza nazionale. Non ho gli elementi per dire se nel medio periodo si porrà veramente la questione della cosiddetta intelligenza artificiale generale. Vedremo.