Perché leggere questo articolo: Il litio è centrale per la transizione green. In Sardegna si parla del maxi-impianto per il riciclo più grande d’Europa. Ma il progetto non è ancora definitivamente sdoganato. Vediamo perché
L’Italia può essere un hub all’avanguardia dei progetti sulla transizione energetica e il recupero di metalli rari funzionali all’industria di frontiera. Ma ad oggi ancora bisogna capire in che misura le prospettive industriali del Paese si possano sposare con le specificità di ogni contesto territoriale.
L’Italia, con il resto dell’Unione Europea, si è impegnata a produrre da sé almeno il 10% dei metalli critici strategici per la transizione e in diverse aree il piano del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica può generare opportunità sistemiche.
La Sardegna “capitale” del litio
Il caso della Sardegna è, in quest’ottica, fondamentale. L’isola dei nuraghi vive una deindustrializzazione che da tempo si è consolidata con la chiusura di poli come l’industria carbonifera. E su più fronti c’è da sottolineare come la transizione green possa fornire carburante per una rinascita di territori dimenticati come il Sulcis, permettendo alla Sardegna di non vivere solo di turismo. Ci sono giacimenti potenzialmente sdoganabili come quelli di litio e terre rare rinvenuti da un team dell’Università di Ferrara nella cava di Buddusò, in provincia di Sassari. E poi ci sono progetti volti a valorizzare la capacità estrattiva di materiali critici da un’attività complementare a quella estrattiva, a cui dovrà andare di pari passo lo sviluppo dell’attività di riciclo.
Uno dei progetti, in avanzato stato di valutazione, porterebbe in Sardegna uno dei più grandi siti d’Europa per la produzione di materie prime critiche attraverso il riciclo delle batterie agli ioni di litio. Il litio è cruciale perché decisivo per la produzione di batterie finalizzate a far viaggiare i veicoli elettrici.
In quest’ottica, il gruppo svizzero Glencore, tra i big del settore minerario e del commercio di commodities e metalli, ha puntato fortemente la Sardegna. Glencore intende entrare in società con la canadese Li-Cycle (il cui 10% è proprio in mano al gruppo svizzero) per riconvertire l’area di un vecchio impianto di raffinazione dello zinco a Portovesme, nel Sulcis, creando il più grande impianto di estrazione di litio dalle batterie esauste. L’impianto, secondo i dati Glencore, avrebbe la potenzialità di fornire litio all’equivalente di 600mila veicoli, il 50% in più delle automobili che ogni anno lasciano le fabbriche italiane, dal 2026-2027.
I dubbi della giunta Solinas
Ma la giunta regionale di Christian Solinas, esponente del Partito Sardo d’Azione sostenuto dal centrodestra, si è finora dimostrata attendista. La giunta di Cagliari ha infatti inserito la burocrazia tra Glencor/Li-Cycle e il loro progetto spingendo per aprire a protocolli di controllo destinati a sottoporre l’affare Portovesme a una strutturale valutazione sull’impatto ambientale del piano. Una mossa che senz’altro si pone in contrasto con la strategia nazionale energetica di assicurare un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime critiche nel minor tempo possibile. O perlomeno è destinato a farlo se la valutazione d’impatto produrrà una procrastinazione senza decisioni definitive in materia. Glencore intende puntare 5 milioni di euro su un progetto-pilota di investimento e 600 milioni, invece, per un piano a tutto campo da sviluppare tramite la Portovesme srl.
Fonti vicine all’azienda hanno fatto intendere a True-News che l’obiettivo è capire in tempi brevi l’esito del processo di assesment ambientale del sito di Portovesme così da capire la prospettiva dell’investimento. L’Associazione Mineraria Sarda, invece, tramite il suo consigliere Franco Manca ha sottolineato a LifeGate la necessità di mantenere coerenti tema della gestione dell’innovazione degli impianti di Portovesme, ove ora Glencore si è focalizzata sullo zinco, e bonifica dei siti ambientalmente pericolosi.
Conciliare ambiente e sviluppo
L’Ams, nota Manca, chiede che lo zinco e il piombo ancora presenti nei siti a cielo aperto e di fatto abbandonati – parliamo di 65 milioni di metri cubi di bacini estrattivi nel solo Sulcis, dove sono presenti quantità di zinco e piombo in misura tra l’1 e il 2 per cento – vadano estratti e arricchiti di minerali, per poi essere messi a disposizione del comparto metallurgico”. Si chiede chiarezza, ma non si chiude affatto all’idea del riciclo: “portiamo avanti il tema dell’economia circolare come economia indispensabile per il futuro”, ha detto Manca.
Il nodo Sardegna richiama a altri dossier critici sulla transizione e l’industria come quello del futuro dell’ex Ilva di Taranto. Il tema fondamentale è consolidare la risoluzione di un trilemma. Da un lato, la necessità di garantire sviluppo a territori molto più depressi che in passato. Dall’altro, l’impatto dei grandi trend geopolitici e geoeconomici che danno priorità precise al Paese. In mezzo, l’inderogbile questione ambientale che ad oggi è sul crinale sottile tra il legittimo sostegno a uno sviluppo ordinato e la spinta burocratica potenzialmente risolvibile in un boomerang. In Sardegna questo problema si vede in ogni sfida, dalle miniere all’impianto sul litio di Glencore. Per il cui via libera servirà ancora tempo per capire in che misura le tre istanze possano essere, realisticamente, conciliate.