Se la crisi d’identità del Partito democratico americano avesse un nome, sarebbe certamente quello del senatore Joe Manchin. Legislatore 74enne della Virginia Occidentale, Manchin rappresenta assieme alla collega Kyrsten Sinema (Arizona) la cosiddetta “area centrista” del partito al Senato.
Manchin, al centro delle cronache politiche Usa da mesi
Il volto di Manchin, quasi sconosciuto a chi segue le vicende americane da questo lato dell’Atlantico, da mesi riempie le prime pagine dei giornali e dei notiziari a stelle e strisce. I motivi sono sostanzialmente due. Da un lato, Manchin è stato tra i più convinti picconatori del piano di spesa sociale voluto dal presidente Joe Biden, il cui budget è stato sfrondato di diverse centinaia di miliardi di dollari per accontentare i desiderata centristi. Dall’altro Manchin incarna la rappresentazione plastica di un tema centrale della politica americana, ossia chi finanzia i legislatori e – di conseguenza – a chi questi ultimi rispondono in sede di voto.
La doccia gelata di Natale: il no di Manchin al BBB di Biden
A poche ore dalla vigilia di Natale, Manchin ha regalato ai colleghi del Partito democratico una vera e propria doccia fredda, annunciando – nientemeno che ai microfoni dell’emittente conservatrice Fox News – la sua intenzione di non votare il Build Back Better (Bbb, il piano di spesa per welfare e clima di Biden). Per giorni, nelle settimane precedenti, il gotha del partito progressista aveva cercato un punto d’incontro con il riluttante senatore centrista, particolarmente contrario al piano per l’energia pulita, il Clean Electricity Performance Program, da 150 miliardi di dollari. Quando l’accordo sembrava cosa praticamente fatta, Manchin ha letteralmente fatto saltare il banco, dicendo che “i colleghi democratici a Washington vogliono a tutti i costi rimodellare drammaticamente la nostra società in un modo che lascia il nostro Paese ancora più vulnerabile alle minacce che affrontiamo”.
Manchin è notoriamente un uomo vicino all’industria dei combustibili fossili e, in particolare, alla lobby del carbone, di cui egli stesso è de facto un riconosciuto esponente. Nella contea collinare della Virginia Occidentale da cui proviene, l’azienda di famiglia del senatore ha guadagnato milioni di dollari sin dagli anni ’80 prelevando carbone di scarto da miniere abbandonate da tempo e vendendolo a una centrale elettrica che emette inquinamento atmosferico a un tasso più elevato di qualsiasi altro impianto nello Stato. Come evidenzia il Washington Post, l’impresa avrebbe potuto subire un duro contraccolpo dalla “svolta green” voluta dall’agenda economica di Biden. Non stupisce, quindi, che Manchin abbia fatto di tutto per affossarla. “Manchin – scrive il Post – ha guadagnato centinaia di migliaia di dollari all’anno dalla compagnia carboniera di famiglia, mentre usava il suo ruolo in un Senato diviso 50-50 per dettare le politiche di Biden”.
Numeri troppo risicati al Senato per Biden
Il potere di ricatto di Manchin, in effetti, dipende in gran parte dalla fragilissima maggioranza con cui i Dem controllano la camera alta del Congresso. I seggi del Senato sono perfettamente divisi tra GOP e democratici, il che rende indispensabile ogni singolo voto per far avanzare i provvedimenti. Non è un caso se proprio questa settimana anche il presidente Biden – egli stesso senatore per diversi anni – si sia espresso a favore di una riforma del regolamento della camera alta che consenta di superare alcune pratiche di ostruzionismo. Il casus belli è rappresentato dal cosiddetto filibuster, la partita in atto è quella per la legge sul diritto di voto. Sta di fatto che la Casa Bianca ha ben chiaro che l’iter approvativo del Senato si è fatto fin troppo asfittico, oltre che legato ai diktat di singoli e volubili legislatori.
Manchin nega il conflitto di interessi
Quando gli viene chiesto se è in conflitto di interessi, Manchin generalmente perde le staffe. “Sono da 20 anni in blind trust (gestione fiduciaria affidata a terzi da chi ricopre incarichi pubblici), non ho idea di cosa stiano facendo“, ha detto il senatore a settembre in riferimento a Enersystems, l’azienda di carbone controllata oggi dal figlio. Manchin, nel solo 2020, ha ricevuto dalla compagnia mezzo milione di dollari in dividendi.
La scelta dei minatori a favore delle riforme di Biden
Ma un conto è dire che il senatore è vicino all’industria del carbone, un conto e stabilire chi siano i suoi primi interlocutori nell’industria del carbone. Lo evidenzia perfettamente un articolo del New York Times intitolato “La scelta di Manchin sul Build Back Better: i minatori o i proprietari di miniere”. Il quotidiano della Grande Mela evidenzia che, quando il sindacato dei minatori della Virginia Occidentale si è schierato a favore dell’approvazione del piano di Biden per welfare e clima – poche ore dopo in “no” di Manchin ai microfoni di Fox – al Campidoglio hanno preso nota. I minatori, infatti, hanno scelto le riforme di Biden, al contrario dei magnati delle miniere che vedono minacciato il proprio business. Questo, a detta del Times, rappresenta l’escalation di una lotta dietro le quinte su chi tra i due schieramenti del West Virginia, minatori e proprietari, influenzerà Manchin e le sue scelte a Washington.
Il giornale americano sottolinea con grande enfasi che questa partita è decisamente più importante della faglia ideologica che divide Manchin dai colleghi liberal all’interno del partito. È probabile che i minatori si rivelino più persuasivi rispetto agli attivisti che manifestano per il clima ma anche in confronto agli alti papaveri Dem che formano capannelli in Campidoglio per cercare di schiodare il centrista dalle sue posizioni.
Fino all’anno scorso, c’è da dire, minatori e proprietari di miniere erano in sintonia nel contrastare l’agenda Biden su welfare e clima, temendo misure volte ad accelerare in maniera troppo violenta la transizione dai combustibili fossili a fonti rinnovabili come l’eolico e solare. Cosa ha spinto i lavoratori e la rappresentanza sindacale a cambiare opinione? Nel disegno di legge del Bbb, i democratici hanno incluso disposizioni care ai sindacati del West Virginia, che da anni vedono diminuire l’occupazione nell’industria del carbone. La misura più urgente è stata l’estensione fino al 2025 di un’accisa pagata dagli operatori di miniere di carbone volta a finanziare un fondo fiduciario che paga circa 30mila minatori con patologie ai polmoni. Poiché Build Back Better non è stato approvato, la tassa è stata dimezzata a partire dal primo gennaio scorso.
I minatori potrebbero far cambiare idea al senatore Manchin
“Esortiamo il senatore Manchin a rivedere la sua opposizione su questa legislazione e collaborare con i colleghi per approvare qualcosa che aiuterà a mantenere in attività i minatori di carbone e ad avere un impatto significativo sui nostri iscritti, sulle loro famiglie e sulle loro comunità”, ha affermato Cecil E. Roberts, presidente del sindacato United Mine Workers of America (UMWA). “Joe Manchin è cresciuto con i minatori di carbone”, ha detto invece Jonathan Kott, un ex aiutante del senatore che ancora lo consiglia. “Il suo cuore è con loro. Il suo sudore è con loro, Manchin sarà sempre con l’UMWA”, ha aggiunto. Ciononostante, il senatore centrista è da tempo anche un interlocutore chiave per gli industriali del carbone. Manchin ha infatti ricevuto più donazioni elettorali dalle industrie del petrolio, del carbone e del gas di qualsiasi altro senatore nell’attuale ciclo elettorale. Dove finirà per schierarsi, se con i minatori o con i proprietari di miniere, sarà il tempo a dirlo.