Perché leggere questo articolo: Sulle pensioni Meloni più “austera” della Fornero? Strette economiche e vincoli più rigorosi sulle uscite sono una realtà. E potrebbero colpire i giovani di oggi in futuro
Fornero addio? Neanche per sogno! Il governo Meloni nel contesto della Legge di Bilancio 2024 impone una nuova stretta sulle pensioni, che allontana anche dall’obiettivo di legislatura di Quota 41. La Manovra presenta l’opzione Quota 104 per le uscite anticipate dal mercato del lavoro dei lavoratori oggi prossimi alle proprie pensioni, con forti penalizzazioni economiche sull’assegno. E non finisce qui.
Il giro di vite di Meloni sulle pensioni
Il criterio economico per coloro che sono entrati nel mercato del lavoro dal 1996 in avanti funzionale a ottenere l’uscita anticipata con Quota 104 è la possibilità di avere un assegno superiore ai 1.700 euro mensili. Questo perché dal 1996, col governo Dini, è entrato in vigore il regime completamente contributivo che sostituisce i vecchi modelli retributivi, che davano alle pensioni il “peso” proporzionale all’ultima busta paga percepita in carriera.
Il giro di vite di Giorgia Meloni sulle pensioni è in un certo senso ancora più duro di quello delle due riforme Sacconi (2010) e Fornero (2011) con cui i governi Berlusconi e Monti rafforzarono l’austerità previdenziale nel Paese. Si può andare in pensione anticipatamente con requisiti stringenti e penalizzazioni economiche. Inoltre, si introduce una misura “classista” che impone un dato livello di stipendio, favorendo a livello apicale la generazione entrata nel mercato del lavoro prima della Grande Recessione rispetto ai suoi successori.
Last but not least, dall’1 gennaio 2025 tornerà a correre l’adeguamento dell’età pensionabile e dei requisiti contributivi temporali alla speranza di vita, fermata negli anni del Covid. Con i prospetti attuali, dunque, nel 2025 serviranno 43 anni per gli uomini e 42 per le donne per andare in pensione. Per tutti, serviranno 20 anni di retribuzione con stipendi attorno 2.400 euro, senza pause lavorative, per accedere ai regimi agevolati. E per i nati negli Anni Novanta e Duemila la prospettiva della fine della carriera lavorativa è disarmante. I calcoli sulle pensioni lasciano pensare che l’attuale generazione si troverà ad andare in pensione attorno ai 71 anni. Con la consapevolezza che i vincoli economici e i requisiti per le uscite anticipate saranno sempre più stringenti.
La piramide delle pensioni
Ironia della sorte, il Paese che agevola i pensionati stranieri a scapito dei cervelli in fuga desiderosi di tornare in Italia è anche quello che ai suoi giovani d’oggi regala due problematiche. Da un lato, un mercato del lavoro in leggera crescita in termini di dinamismo ma ancora carente sul tema delle retribuzioni, dunque della sicurezza. Dall’altro, un sistema previdenziale sull’orlo del collasso da qui a una generazione. Per salvare il quale si alimenta il divario intergenerazionale sulle pensioni. Stabilendo una piramide sociale per gli anni a venire.
In testa, gli iper tutelati che hanno avuto una buona parte della carriera, se non tutta, col sistema retributivo. A seguire in seconda fascia, coloro che mediamente hanno accumulato redditi più alti prima della crisi finanziaria. In terza e quarta fila, i giovani di oggi e gli esclusi dell’attuale mercato del lavoro. Per cui la carriera professionale si preannuncia una scalata continua. Senza prospettive.
I giovani d’oggi al tema previdenziale pensano eccome. “L’Osservatorio Mefop-Luiss di Mauro Marè a metà settembre di quest’anno ha pubblicato un report che evidenzia un dato tragico: il 44% dei giovani under 35 ritiene di non poter avere una pensione adeguata”, spiega a True-News.it Mattia Angeleri. Nato a Torino nel 1995 Angeleri è avvocato e co-fondatore di 20e30 A.P.S., un’associazione dedicata al coinvolgimento politico e sociale della generazione Z.
“Poca speranza di futuro” sulle pensioni e non solo
Per Angeleri la sfida è chiave. L’avvocato torinese ricorda che, secondo la ricerca Mefop-Luiss, “l’ansia per il futuro pensionistico è superiore al timore della perdita del lavoro (40% degli intervistati), al non poter acquistare una casa (23%) o al non riuscire a mantenere un figlio (17%)”. La prospettiva è importante. Giovani nati in famiglie in cui il primo welfare erano risparmi e pensioni dei nonni sono abituati a lunghe prospettive temporali. E il tema del futuro previdenziale dei giovani d’oggi è un tema caldo per la politica.
“Una classe politica che vuole dare un segnale e una speranza alla generazione 2030 non può permettersi di inasprire le barriere per l’accesso al sistema previdenziale”, sottolinea Angeleri. Il quale non ritiene che però sia possibile dire che è esclusivamente colpa di Meloni. Angeleri è cauto: “Ci tengo a precisare che da tecnico e osservatore della politica non ne faccio una questione di colore politico: i vari governi che si sono succeduti hanno dato poca speranza di futuro ai giovani e questo non fa eccezione”. Del resto, la riforma Fornero fu votata da centrodestra e centrosinistra, per fare un solo esempio chiaro. Per l’attuale governo garantire prospettive future dignitose ai giovani che si approcciano al mercato del lavoro è una sfida vitale: “Se si vuole ridurre la denatalità e la diaspora dei cervelli è necessario fornire solidità retributiva e previdenziale ai giovani”, chiosa infine Angeleri. Quella solidità che, dalla recessione dell’era della Grande Crisi sembra andarsi sgretolando passo dopo passo.