Nel 2021 sono tornate ad aumentare le rimesse dei lavoratori stranieri. Un segnale di ripresa dell’economia globale che guarda anche al digitale. I migranti sono una risorsa, soprattutto per i Paesi da cui provengono.
A ridosso della Giornata mondiale del Migrante – che da 70 anni ogni 18 dicembre viene promossa dalle Nazioni Unite – sono usciti dei rapporti che analizzano le conseguenze degli spostamenti di popolazione: un impatto enorme non solo a livello sociale e politico, ma anche economico sull’intero pianeta.
Nel mondo 280 milioni di persone vivono in un Paese diverso da quello in cui sono nate
Nel mondo lo scorso anno sono stati registrati oltre 280 milioni di persone che vivono in un Paese diverso da quello in cui sono nate: quasi il 3,5% della popolazione globale, in un dato che non tiene conto delle migrazioni interne agli Stati (basti pensare che a cavallo del ritorno dei talebani, in Afghanistan si contavano quasi 2 milioni e mezzo di profughi nel paese).
L’UNHCR, agenzia dell’Onu che si occupa dei rifugiati, nel 2020 stimava che fossero 82 milioni le persone nel mondo costrette a fuggire a causa di persecuzioni, conflitti, violazioni dei diritti umani o eventi che hanno gravemente turbato l’ordine pubblico – quasi i due terzi scappano da soli 5 Paesi: Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan e Myanmar. Al netto di questo dato, la stragrande maggioranza dei 200 milioni restanti può essere catalogata come “migranti economici”. Persone che lasciano dietro di sé storie difficili, senza però recidere del tutto i legami con il proprio passato.
La rimessa: un fondamentale contributo economico generato dai migranti
La rimessa è un trasferimento di denaro verso l’estero, effettuato da un lavoratore straniero verso il proprio Paese d’origine. È uno dei più importanti contributi economici generati dai migranti, che va di pari passo insieme a quello diretto all’economia dei Paesi in cui vengono accolti. Prima della pandemia, in Italia l’immigrazione garantiva un saldo positivo di 4 miliardi di euro tra entrate – oltre 29 miliardi, di cui 15 di contributi previdenziali, 5 di Irpef, 4 di Iva e 2 di Accise – e uscite – 25 miliardi, con le voci principali nei 7 miliardi di spesa per la sanità, 6 per l’istruzione, quasi 3 per ammortizzatori sociali, uno per le pensioni; l’accoglienza è costata nel 2019 al nostro Paese 2 miliardi. Nel 2020 dal nostro Paese sono partiti 2 miliardi e 200 milioni di rimesse verso altri Paesi del mondo, frutto del lavoro degli oltre 2 milioni e mezzo di lavoratori stranieri in Italia: una contrazione del 3% rispetto ai 2 miliardi e 270 milioni stimati nel 2019.
In Italia, come nel resto del pianeta, nell’anno appena concluso si è registrata un forte aumento delle rimesse, uno dei segnali più incoraggianti della ripresa dell’economia mondiale dopo due anni di pandemia. Uno studio della Banca Mondiale ha stimato in 589 miliardi di dollari il flusso verso paesi a medio o piccolo reddito nel 2021: un aumento del 7% rispetto al 2020.
Da dove partono e dove arrivano i soldi
Lo scorso anno i primi cinque beneficiari di rimessi erano India, Cina, Messico, Filippine ed Egitto; i Paesi da cui partono gli importi maggiori sono Usa, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Svizzera. In rapporto al Pil, esistono vere e proprie economie dipendenti dalle rimesse: Tonga, Libano, Kirghizistan, Tagikistan e Honduras basano oltre il 50% del proprio prodotto interno lordo sulle rimesse.
Le rimesse nel mondo ammontano ora al doppio degli investimenti diretti esteri e superano di tre volte i fondi per l’assistenza allo sviluppo. Un flusso virtuoso, in grado di sostenere lo sviluppo economico aumentando i consumi e la domanda aggregata e spesso la fornitura di servizi cruciali come l’istruzione e l’assistenza, oltre che il capitale a micro e piccole imprese.
Rimesse, i “soldi più tassati al mondo”
A fare da intoppo rimangono gli elevati costi delle commissioni per le rimesse. Sempre secondo la Banca Mondiale, le rimesse sarebbero “i soldi più tassati al mondo”: su di esse grava una commissione media del 5,5% dell’importo, con un ventaglio molto ampio che va dal 3% pagato per inviare denaro in Messico all’8% nell’Africa subsahariana. “Sul tema delle commissioni, l’Africa paga anche il fatto di essere la regione dove si è più indietro in termini di inclusione finanziaria” spiega Frigeri. “Le nuove tecnologie stanno aiutando a cambiare questo quadro, consentendo a chi non ha un conto in banca di poter comunque utilizzare altri sistemi come i telefonini per ricevere denaro. In generale servirà una grande azione di educazione finanziaria e digitale”. Sono inoltre necessari da due a tre giorni lavorativi per il completamento dell’operazione.
App, blockchain e criptovalute nell’arena delle rimesse
Da qualche tempo, app innovative – come Remitly, Revoult, Valora e RippleNet – stanno provando a modificare il panorama delle rimesse in chiave digitale. Questi “corridoi di rimesse” che mettono in comunicazione smartphone e istituti finanziari si stanno sviluppando soprattutto dagli Stati Uniti verso Messico, Filippine e India. Gli sviluppi più interessanti sembrano coinvolgere il mondo della blockchain e delle criptovalute. Un report di Facts & Factors pubblicato ad aprile stima che il mercato globale delle rimesse digitali crescerà dai 14,5 miliardi di dollari nel 2019 a 35,8 miliardi nel 2026, con un tasso di crescita del 13% annuo.