News Afghanistan, parla Joe Biden. “Sono il quarto presidente americano a presiedere una presenza di truppe americane in Afghanistan. Due repubblicani. Due democratici. Non passerò questa responsabilità a un quinto“.
Usa decidono e Nato esegue
Nel lessico politico americano esiste una definizione tranchant per indicare la differenza tra le promesse di un candidato presidente e quello che poi è il suo reale operato una volta insediatosi alla Casa Bianca: in campagna elettorale si fa poesia, in politica prosa. Il passaggio dalla metrica a un linguaggio realistico per Joe Biden è stato immediato. Ad aprile, prima dei fatidici cento giorni, il presidente di “America is back” ha annunciato che “è ora di porre fine alla più lunga guerra americana”. A stretto giro gli alleati della Nato, hanno avvallato la decisione americana, in una sbrigativa riunione a Bruxelles dei ministri degli Esteri e della Difesa dell’Alleanza atlantica.
Una guerra costata 250mila vite umane
Si chiude un drammatico capitolo di vent’anni di guerra, costata oltre mille miliardi di dollari, almeno 250mila vite umane (di cui 3500 di militari occidentali, 2500 americani e anche 50 italiani) e che ha causato almeno 4milioni e mezzo di profughi.
All’orizzonte sembra profilarsene uno ancora più drammatico, perché la riconquista del paese da parte dei talebani vanificherebbe i sacrifici fino ad ora compiti e cancellerebbe i fragili progressi in termini di diritti umani che afghani e afghane hanno difficilmente conquistato in questi due decenni.
Si rinfocola in Afghanistan la guerra contro i talebani
“La situazione è molto complicata, la guerra contro i talebani si fa di ora in ora più feroce”, parola del ministro della difesa afghano Mohamadi, dopo che gli studenti coranici armati hanno lanciato una prima offensiva contro una città capoluogo di provincia, Baghdis, nel nord-ovest del paese. È il primo attacco in grande stile dopo il ritiro del grosso delle truppe straniere. Da tempo però il paese è tornato ad essere conteso, coi talebani che controllerebbero quasi un quarto dei distretti del territorio. Soprattutto al nord, al confine col Tagikistan, il cui regime ha una posizione ambigua verso gli insorti.
Bin Laden e la morte nel 2011
Il complicarsi della situazione in Afghanistan, in cui si stanno concretizzando i temuti scenari di guerra civile, mette in allarme l’intera regione. In particolare il confinante Pakistan, dove nel 2011 è stato ucciso Osama Bin Laden, da sempre sospettato di tenere legami ambigui con le milizie islamiste e che ospita già un milione di profughi. Islamabad teme che il conflitto possa generare nuove ondate di rifugiati, che rischierebbero di venire ammassati in campi di raccolta lungo la frontiera.
I talebani tornano al tavolo del negoziato
Nel frattempo, in Iran – altro stato che osserva con attenzione gli sviluppi del conflitto senza fine – rappresentanti del governo di Kabul e delle milizie religiose talebane sono tornati al traballante tavolo negoziale, che è stato patrocinato dal regime dei mullah. Un importante riconoscimento i talebani lo avevano ottenuto dall’accordo raggiunto con gli Stati Uniti di Donald Trump per il ritiro delle forze americane dall’Afghanistan; non si più affermare lo stesso per i rapporti con il governo afghano: il paese scivola inesorabilmente verso il caos. Il ministro degli esteri iraniano Zarif ha commentato: “Se il faccia a faccia militare dovesse aggravarsi, l’intera area potrebbe correre grossi rischi. Questo conferma il fallimento occidentale e americano che ha lasciato solo distruzione”.
Le reazioni italiane e l’allarme del New York Times
L’Italia per conto del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in una nota congiunta con tutti i partner europei e l’intera comunità internazionale, conferma “il rispetto dell’impegno finanziario preso in favore le forze di sicurezza e di difesa afghane e l’affiancamento esterno ai nuovi vertici del paese, per preservare le conquiste civili ottenute in vent’anni di crisi”.
Il New York Times stima che “secondo valutazioni dell’intelligence, il governo afghano potrebbe crollare in un periodo che va dai sei mesi ai due anni”. Il paese tornerebbe così in mano ai talebani, che furono già il potere in Afghanistan dal 1996 fino all’invasione americano nel ottobre del 2001.
Vent’anni dopo l’11 settembre il “grande gioco mediorientale” è più aperto che mai.