Perché leggere questo articolo? Il Consiglio Ue ha tolto quattro Paesi dalla black list dei paradisi fiscali. Restano ancora 12 mete da sogno per i Paperoni dell’evasione. Se proprio non sapete dove andare in vacanza…
Bahamas, Belize, Seychelles e le Isole Turks e Caicos sono uscite dal gruppo. Le quattro isole da favola non rientrano più tra i cosiddetti “paradisi fiscali”. Non rientrano più nella lista nera Ue delle giurisdizioni che non cooperano con Bruxelles a livello fiscale. Il Consiglio Ue, riunito il 20 febbraio con i ministri degli Affari europei dei 27, le ha rimosse dall’elenco. Per l’Unione europea rimangono ancora 12 paradisi fiscali. Se proprio volete sapere quali, li trovate in fondo a questo articolo. Scritto esclusivamente a fini giornalistici.
L’aggiornamento Ue sui paradisi fiscali, spiegato
Giovanni Mantineo, commercialista in un importante studio milanese, spiega a True-News l’aggiornamento Ue. “La legislazione di riferimento Ue per etichettare i regimi fiscali è il TUIR. Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi, recentemente aggiornato, definisce all’art. 110 i Paesi o territori considerati non cooperativi ai fini sociali”. “La black list – spiega Mantineo – parte da una una tabella di punteggi relativi a diversi parametri fiscali, nei quali si valuta il livello di rischio potenziale di ciascuno Stato. Da qui, si procede alla selezione dei Paesi che si discostano dagli standard richiesti (chi decide di allinearsi a tali requisiti deve presentare un impegno formale in tal senso)”.
“I requisiti da rispettare – spiega Mantineo – sono sostanzialmente tre: trasparenza sulle informazioni fiscali; “fair taxation“, che valuta l’esistenza di “regimi fiscali dannosi” e l’esistenza di regole che facilitino l’installazione di strutture offshore capaci di attrarre profitti a cui non corrisponde un’attività economica reale; e l’assenza di misure in antitesi ai trattati BEPS (“Base-Erosion and Profit Shifting”). La lista finale è approvata dal Consiglio e include tutti i Paesi che non hanno provveduto a correggere le proprie pratiche dannose”.
Come funziona la black list
Come funziona nel concreto la black list? “La Lista di giurisdizioni non cooperative è lo strumento di cui sono dotati i Paesi membri nel 2017″. Per Mantineo ” dopo diversi scandali, tra cui i Panama Papers e LuxLeaks serviva un’azione per combattere l’evasione fiscale delle multinazionali e delle grandi fortune. Si tratta di quei Paesi a tassazione agevolata in cui i ricchi di tutto il mondo spostano il loro denaro per evitare di pagare quanto dovuto nei Paesi in cui effettivamente lavorano. Ad evadere sono soprattutto i colossi del web o le grandi corporation internazionali, che possono muoversi senza difficoltà da un regime fiscale all’altro. Questa fuga di capitale però sottrae ingenti liquidità ai Paesi che potrebbero invece investirle in sanità e istruzione. Le sanzioni Ue contro i Paesi della “lista nera” possono arrivare ad includere il congelamento dei fondi europei”.
Da questa black list sono usciti in settimana Bahamas, Belize, Seychelles e le Isole Turks e Caicos. Al contrario di quei Paesi che non hanno migliorato i propri standard di buona governance fiscale o non hanno compiuto progressi sufficienti nel rispettare i loro impegni presi precedentemente con la Ue. Per questa ragione, il Consiglio Ue, in un comunicato stampa, li ha invitati “a migliorare il loro quadro giuridico per risolvere i problemi individuati”. Conclude Mantineo.
Le critiche delle Ong e le sanzioni dell’Unione europea
Ma il meccanismo viene regolarmente criticato dalle Ong per la sua inefficacia. Nonostante l’obiettivo della lista nera sia quello di indurre i Paesi che vi rientrano ad alzare le imposte sui profitti delle multinazionali in modo da allinearle ai livelli previsti per i redditi prodotti internamente, il rischio secondo le Ong è di ottenere l’effetto contrario: si finisce cioè per incentivare tali giurisdizioni non ad alzare le imposte sui redditi stranieri, ma ad abbassarle per tutti i redditi d’impresa, allargando la platea dei beneficiari dei regimi agevolati per includervi anche le imprese locali.
Questo, oltre a diminuire l’ammontare delle entrate totali, rischia anche di innescare una corsa al ribasso, che partendo dai Paesi confinanti si allarga su scala internazionale. Inoltre, un altro limite era stato evidenziato fin dal varo del meccanismo della “black list”: la Ue, infatti, aveva messo gli occhi su 92 giurisdizioni, dimenticandosi però di guardare in casa propria, cioè tra i Paesi membri. Oxfam nel 2017 aveva reso nota una sua lista “alternativa”, dove aveva inserito, per esempio, anche Irlanda, Malta, Lussemburgo e Paesi Bassi.
L’Ue valuta il livello di potenziale rischio di ogni Stato e poi vengono selezionati i singoli Paesi che non rientrano negli standard stabiliti. I requisiti riguardano la trasparenza sulle informazioni fiscali, “la fair taxation” la quale valuta eventuali regimi fiscali definibili dannosi e l’inserimento di norme che rendano più snella l’installazione di strumenti offshore che possano portare profitti ai quali, però, non viene associata una reale attività economica. Inoltre viene valutata l’assenza di misure che vadano in contrasto con i trattati Beps, Base-Erosion and Profit Shifting. Strategie di natura fiscale internazionale attuate da alcune imprese multinazionali al fine di traslare i profitti da paesi ad alta tassazione a paesi a tassazione ridotta o nulla.
Gli ultimi paradisi fiscali rimasti (se volete chiedere per un amico)
Nella lista nera restano quindi solo 12 Paesi che non hanno avviato un dialogo costruttivo con l’Ue sulla governance fiscale o non hanno mantenuto gli impegni presi sulle riforme finalizzate ad aumentare trasparenza ed equità della tassazione e prevenire l’erosione della base imponibile e il trasferimento dei profitti. Se anche voi avete quell’amico che non ha ancora deciso dove andare in vacanza prima della fine dell’anno, li può trovare qui: