Perché questo articolo potrebbe interessarti? I contenuti pornoerotici sono penetrati in molti ambiti della nostra vita. Al tempo stesso è sempre più consistente la percentuale di chi decide di fare del porno il proprio lavoro. Quanto è economicamente sostenibile?
Il consumo di materiale porno, su piattaforme sempre più variegate e on demand, è in costante aumento. Lo mostrano anche i dati più aggiornati di Pornhub, che collocano l’Italia al quarto posto tra i Paesi in cui più si naviga sul sito di materiali espliciti. Con l’avvento di piattaforme con OnlyFans e l’incremento della partecipazione attiva alla creazione di contenuti erotici, quali sono le reali possibilità lavorative? Ne abbiamo parlato con Claudia Attimonelli, coautrice con Vincenzo Susca di Pornocultura, e Claudia Ska, autrice di Sul porno.
La rivoluzione di un’industria cinematografica
Nell’Italia di oggi, lavorare nel campo del sex work e in particolare nel mondo del porno implica alcune difficoltà. Quali sono gli ostacoli maggiori? Lo spiega Claudia Attimonelli, coautrice con Vincenzo Susca di Pornocultura: “L’aspetto più in crisi è legato alla parola lavoro. Abbiamo coniato il termine pornocultura proprio per delineare uno scenario che dagli anni ’90 passa da ciò che era definito pornografico – male oriented e riservato alle riviste e ai film –, viene stravolto dall’avvento dei freetubes e si rivolge a soggetti nuovi che hanno maggiore accesso al porno e possono produrlo. È una rivoluzione dell’industria cinematografica del porno.
Lo scenario cambia se potenzialmente chiunque può produrre materiale porno, direttamente dal basso e senza una scrittura dall’alto. Queste nuove strade solo di recente si sono trasformate in forme di guadagno senza mediazione.
L’avvento di internet ha segnato la fine di una pornografia dedicata soprattutto a uomini con precise pratiche ed estetiche. Questa crisi ha cambiato anche la dimensione lavorativa”.
Non solo Onlyfans: i FreeTube e i social
Con l’ingresso di contenuti erotici nelle piattaforme online e nei social media, a partire da Onlyfans, il quadro ha subito un’ulteriore modifica. Attimonelli precisa infatti che “ora grazie ai FreeTube e in gran parte a Instagram i contenuti pornificati sono sempre più presenti nella nostra quotidianità. Tutto è impregnato di pornografia e pornoerotismo.
Nell’avvento del web, c’è sempre di più una ricerca ossessiva di maneggiare contenuti porno, a partire dalla rappresentazione del corpo. Sono poche però le persone che riescono a guadagnare in questo settore.
Spesso è un tentativo quasi disperato e tenero di ricercare l’altro o l’altra grazie a uno scambio di carne elettronica. Cosa che prima non era possibile né immaginabile. In tutto questo, con la mediazione dello schermo, non si sa che fine faccia il corpo di carne. Tutti i tentativi delle piattaforme di dare la possibilità di guadagnare sui contenuti sono modi per dare senso a questa pornificazione. OnlyFans ha infatti avuto un’esplosione, anche perché si basa su un avvicinamento forte tra chi guarda e chi viene guardata o guardato”.
Il porno è economicamente sostenibile?
Risponde Claudia Ska, autrice di Sul porno. “Come tantissimi altri mestieri, chi fa porno deve fare un intenso lavoro di autopromozione sui social e agli eventi di settore, in particolare se non si ha alcuna agenzia alle spalle. Le produzioni non sono più gloriose come dagli anni ‘70 ai primi duemila, quando venivano prodotti film con numerosi performer, scenografie e sceneggiature con una loro ricercatezza, al netto della riuscita e credibilità del prodotto finale. Nel 2005 Digital Playground produsse il film porno più costoso della storia: un milione di dollari per Pirates, una sorta di parodia pornografica de I pirati dei Caraibi. Nonostante DP sia stata acquistata nel 2012 dal colosso Mindgeek, quelle produzioni appartengono a un’altra epoca.
Adesso le crew sono spesso formate da performer e registi soltanto, figure come quella del cameraman coincidono con gli uni o con gli altri, specialmente se parliamo di POV. La diffusione dello stile Gonzo [in cui chi fa la ripresa è coinvolto nell’azione] ha contribuito a questo fenomeno di riduzione all’osso della produzione, anche in fase post-produttiva, ma è difficile dire se sia la crisi economica e lavorativa ad avere enfatizzato questi stili o viceversa, probabilmente la verità sta nel mezzo.
Ritengo che sia ancora possibile guadagnare col porno, ma c’è una concorrenza spietata e tanta ingenuità. In generale si pensa che i mestieri sessuali siano semplici e si guadagni molto col minimo sforzo e in poco tempo, in realtà bisogna trovare la propria chiave espressiva, curare la comunicazione, realizzare frequentemente nuovi contenuti, non da meno prendersi cura della propria community.
In Italia manca una regolamentazione
Per la legge in Italia la produzione di contenuti pornografici non è propriamente regolamentata quindi ci si muove su un terreno scivoloso, perché liminare con la legge che regola la prostituzione, per non parlare della cosiddetta Tass Etica o Porn Tax, ossia un’addizionale Irpef e Ires al 25% sui compensi derivanti dalla produzione, distribuzione, vendita e rappresentazione del materiale pornografico.
Per diventare quindi un lavoro economicamente sostenibile è innanzitutto necessario investire risorse in termini economici e di tempo ed essere molto costanti. Il porno (commerciale) è però uno dei pochissimi ambiti, forse l’unico, dove le donne guadagnano più degli uomini, almeno per quanto concerne le performer”.