Perchè leggere questo articolo? Sulle varie testate giornalistiche nazionali spopolano i sondaggi di enti come l’Osservatorio mensile Findomestic, le cui indagini però risultano essere tendenziose, poco trasparenti e soprattutto non scientifiche.
Tre italiani su dieci chiedono aiuto economico alla famiglia. A rivelarlo è l’Osservatorio mensile di Findomestic che ha riportato come, negli ultimi anni, il 29% degli italiani abbia ricevuto in modo ricorrente un supporto per pagare le bollette e la spesa alimentare. Mentre il 10% ha fatto affidamento sui propri familiari una tantum, ricevendo sostegni sotto forma di prestito, donazione di denaro o di beni importanti. Dati che fanno notizia e vengono di fatto ripresi da tutte le principali testate italiane. Diffusi come veri, senza però esser verificati. Soprattutto tenendo conto che sono il frutto di una realtà sicuramente frutto di un interesse di parte, in questo caso di una società di credito che concede prestiti, e che soprattutto manca di trasparenza sulla propria metodologia di campionamento.
L’Osservatorio Findomestic
Propensione ai consumi in calo, aumento della spesa per i beni della mobilità, tecnologia in negativo. Sono solo alcune delle indagini pubblicate febbrilmente dall’Osservatorio Findomestic, strumento di monitoraggio e rilevazione dell’omonimo istituto di credito italiano. Findomestic è società specializzata, fin dal 1984, nel credito alla famiglia per l’acquisto di beni e servizi ad uso privato, ed è parte di BNP Paribas, primario Gruppo Bancario internazionale. Forte della propria esperienza di società leader del mercato del credito al consumo, Findomestic ha dato vita nel 1994 all’Osservatorio Findomestic, che genera e mette a disposizione studi sui comportamenti dei consumatori e sull’andamento dei principali mercati dei beni durevoli di consumo.
Findomestic come CGIA di Mestre: indagini di mercato senza fini scientifici
La metodologia di costruzione di questi sondaggi però, e non vale ovviamente solo per Findomestic, è difficile da ritenere scientificamente valida. Dei sondaggisti sentiti da True-News concordano nel sottolineare che comuni a raccolte dati promosse sul modello delle ricerche di Findomestic o CGIA di Mestre c’è una vaghezza sul metodo di raccolta dati e campionamento. Queste ricerche apparirebbero dunque “oscure” se presentate con un fine scientifico.
Qual è il punto? Il fatto che però tali indagini di fatto fini scientifici non ne presentano. Comprensibilmente, per tutti i loro promotori l’obiettivo è una ricerca di mercato. Finalizzata da ogni impresa o associazione “pro domo sua”. Il nodo sta tutto nella ricezione mediatica di tali dati ad opera di chi, nelle testate, fatica a distinguere una ricerca con fini di mercato da un sondaggio fatto con tutti i crismi.
Dunque, nulla in contrario alla pubblicazione di queste ricerche da parte dei promotori. Mezza Italia si è fermata, nei giorni scorsi, per un’analoga ricerca: quella di una società svizzera produttrice di sistemi di rilevamento della qualità dell’aria, IQAir. Divenuta “barometro” della qualità dell’aria a Milano sulla base di rivelazioni compiute con i suoi dispositivi. Il problema sono le tendenze giornalistiche che spingono a prendere per scientifico ciò che ha un (palese e legittimo) fine e commerciale.
La nota metodologica come strumento di trasparenza
Nel mare magnum di informazioni con cui veniamo quotidianamente sommersi, c’è però qualcosa che può aiutare a discernere un sondaggio con fini scientifici, da quelli tendenziosi e di mercato. Si tratta della nota metodologica, metatesto che illumina le modalità di lavoro adottate e i riferimenti tenuti presenti, pubblicamente allegata in ogni indagine come si deve. Come quella fornita, ad esempio, dall’ISTAT. In ogni sua analisi, dall’“Indagine sulla produzione libraria” all’indagine campionaria sulle famiglie “Aspetti della vita quotidiana”, l’Istituto Nazionale di statistica riporta infatti nello specifico le strategie di campionamento e il livello di precisione dei risultati ottenuti. Si tratta di una prassi che rientra negli obiettivi perseguiti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali che, dal 2020, obbliga gli enti del Terzo settore a pubblicare i propri bilanci sociali come strumento di rendicontazione, informazione e soprattutto trasparenza.