L’industria italiana dei salumi si trova nell’occhio del ciclone. A minacciare l’intero settore troviamo due problemi non da poco. Da un lato i costi in aumento e la concorrenza estera, dall’altro l’ancor più temibile peste suina africana. Un virus letale per i maiali, questo, che sta costringendo gli allevatori ad intraprendere scelte drastiche. Il mercato dei salumi, in Italia, vale 8,2 miliardi di euro, impiega quasi 50mila lavoratori e comprende più di 8 milioni di suini.
Da mesi il settore italiano dei salumi è in allarme. La peste suina africana (Psa), un virus che colpisce i maiali e i cinghiali, e che ha un tasso di mortalità di quasi il 100%, ha stravolto l’intera filiera.
Una filiera che dipende dalla carne di questi animali e che comprende prosciutti, salsicce e tante altre prelibatezze. E che, in Italia, vale complessivamente 8,2 miliardi di euro, impiega quasi 50mila lavoratori e comprende oltre 8 milioni di suini.
“C’è una sola parola che può descrivere lo stato d’animo degli allevatori in questo momento: terrorizzati”, ha dichiarato qualche settimana fa Rudy Milani, presidente nazionale dei suinicoltori di Confagricoltura.
Che cosa sta succedendo? Semplice: la Psa sta letteralmente uccidendo migliaia e miglia di maiali. Da quando l’infezione è comparsa in Italia, nel gennaio 2022, circa 120mila suini sono stati uccisi. La maggior parte negli ultimi due mesi, quando l’emergenza sanitaria si è intensificata (soprattutto nel nord Italia).
Il virus dei maiali
Il Financial Times scrive che “il governo di Giorgia Meloni sta lottando per debellare la peggiore epidemia del Paese dagli anni ‘60” ad oggi.
Del resto la Psa è per lo più letale, con il decesso che avviene entro 10 giorni dall’insorgenza dei primi sintomi. L’infezione si trasmette attraverso le zecche o, molto più comunemente, quando gli animali entrano in contatto con superfici contaminate e cibi infetti (o animali).
Gli effetti? Letali nel 90% dei casi. Le emorragie provocano la morte dei suini infetti in meno di una settimana. A preoccupare ulteriormente gli addetti del settore è che, al momento, non esistono vaccini.
Da metà luglio, sono stati abbattuti in Italia più di 50mila suini a causa della Psa, rilevata in più di 25 allevamenti sparsi tra Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna.
Quasi 200 soldati italiani, supportati da droni dotati di telecamere termografiche, sono stati dispiegati per tracciare gli spostamenti dei cinghiali nella zona cuscinetto tra le aree colpite e quelle in cui il virus non è stato rilevato.
Secondo le stime di Confagricoltura, negli ultimi due anni la Psa è costata agli allevatori di suini 40 milioni di euro in perdite dirette e 75 milioni in perdite indirette. Roma, inteso come il governo, sta pagando gli allevatori per i suini contagiati abbattuti, ma deve ancora impegnarsi a risarcire le ingenti perdite indirette registrate nel corso del 2024. L’unica notizia positiva è che, almeno per adesso, la Psa non colpisce gli uomini.
Cosa succede ai salumi italiani
Se le restrizioni sugli spostamenti dei maiali e le norme sanitarie per “ripulire” gli allevamenti contagiati si sono rivelate mosse utili, le autorità devono ancora capire come neutralizzare la minaccia rappresentata dai principali settori del virus: i cinghiali.
Come ha spiegato il ministero della Salute, infatti, i cinghiali, liberi di avvicinarsi alle zone antropizzate, rappresentano un mezzo di diffusione del virus, “qualora entrino in contatto con allevamenti che non rispettano le norme di biosicurezza o con rifiuti alimentari abbandonati o con lavoratori del settore domestico”.
La riduzione degli animali comporta una crescita di prezzi e dunque una conseguente crescita dei costi.
“La scarsa reperibilità di cosce fresche per la Dop sta generando forti limitazioni produttive e, al contempo, aumenti di prezzo della materia prima, che si inseriscono in un contesto di costi già fuori controllo e completamente insostenibili per le nostre aziende”, hanno fatto presente i rappresentati del Consorzio del Prosciutto di Parma.
Nel 2023, e secondo i dati Istat, le spedizioni dei salumi italiani sono salite a quota 206.859 ton (+6,2%), raggiungendo l’importante traguardo dei 2.157,6 milioni di euro (+8,7%).
In tutto questo, i funzionari dell’Unione europea hanno consigliato all’Italia di stanziare, con urgenza, più fondi e personale per costruire recinti che impediscano ai cinghiali infetti di spostarsi in nuove aree. E di rafforzare, di pari passo, la sicurezza negli allevamenti presenti nelle regioni già colpite dal virus.
Il precedente cinese
La Cina ha fatto i conti con la Psa nel 2019. In quel periodo l’Economist aveva rinominato la grave emergenza sanitaria come Aporkalipse Now, lasciando intendere che il Paese stava affrontando un’apocalisse.
Difficile dire altrimenti, visto che il gigante asiatico, fino a pochi anni fa, ospitava quasi la metà dei maiali del mondo. E che la carne di maiale rappresenta il 60-70% della carne consumata dai cinesi. Calcolatrice alla mano, si tratta di quasi 700 milioni di animali ogni anno, la metà della popolazione suina globale.
La Psa, nel caso cinese, ha spinto sul lastrico numerosi allevatori e provocato l’aumento dei prezzi del maiale. I consumatori sono arrivati a sborsare anche il 40% in più per acquistare carne suina. Anche per questo l’Italia spera di risolvere l’emergenza sanitaria il prima possibile.