Mentre in Italia la benzina raggiunge prezzi record, il tema degli approvvigionamenti energetici per gas e petrolio resta in primo piano per tutti i paesi europei. Negli scorsi giorni il ministro dell’Economia tedesco Robert Halbeck ha lanciato un appello ai paesi esportatori dell’OPEC, Arabia Saudita in primis, perché aumentino la produzione e aiutino il mercato a mitigare l’impennata del prezzo del barile. Già a inizio marzo attraverso un comunicato congiunto i paesi dell’OPEC+ (di cui fanno parte, tra gli altri, Russia e Azerbaijan) avevano respinto l’invito dei paesi occidentale a rivedere la propria strategia per mitigare gli effetti della guerra.
Aumento graduale della produzione
L’Organizzazione dei paesi esportatori ha infatti confermato la volontà di procedere con un aumento graduale della produzione con un incremento in aprile di 400.000 barili al giorno rispetto al livelli di marzo. Alla base della volatilità dei prezzi ci sarebbero gli “sviluppi geopolitici” e i vertici dell’OPEC+ (nel cui board si trova, tra l’altro, il vicepresidente russo Alexander Novak) hanno sostanzialmente confermato di voler rimanere fedeli alla strategia decisa lo scorso luglio.
Parallelamente, iniziano a circolare voci sulla volontà di Vladimir Putin di dare vita a un nuovo cartello delle materie prime, alternativo all’OPEC, per contrastare gli inevitabili tagli nell’import energetico dell’Occidente. Una community producers countries association che vedrebbe la partecipazione di Russia e Arabia Saudita ma anche di Azerbaijan e Qatar (uscito dall’OPEC nel 2018), cioè alcuni dei paesi su cui Italia e Europa stanno puntando con maggiore convinzione per sostituire le importazioni da Mosca. Uno scenario che complicherebbe ulteriormente i piani dei paesi occidentali, che passano in gran dalla negoziazione di accordi con i singoli paesi.
La strategia italiana per sostituire l’import dalla Russia
Il piano di Roma per sostituire il gas russo passa attraverso l’aumento delle forniture di gas liquefatto via mare da Qatar e Stati Uniti e di gas via tubature da Azerbaijan, Algeria e Libia. Il potenziale aumento di importazioni da Doha è limitato, ma nel corso del loro viaggio in Qatar Di Maio e Descalzi hanno raggiunto l’accordo per garantire forniture aggiuntive rispetto agli attuali 7 miliardi di metri cubi. La crescita delle importazioni da Algeria e Libia resta legata all’instabilità interna e alla crescita locale nella domanda di gas, ma anche con Algeri è stato raggiunto un accordo per l’aumento di forniture.
A fine 2020 è entrato in funzione il TAP (Trans Adriatic Pipeline), e da allora l’Azerbaijan fornisce all’Italia circa il 10% della quota totale di gas. Negli scorsi giorni Mario Draghi ha discusso con il presidente azero Ilham Aliyev della necessità di rafforzare la collaborazione bilaterale tra i due paesi. Settimana scorsa Draghi ha sentito tra gli altri il presidente congolese Denis Sassou Nguesso. Il ministro degli esteri Di Maio ha poi personalmente visitato il paese e ha annunciato attraverso i social network il raggiungimento di un’intesa per il rafforzamento della partnership energetica con Kinshasa.
Da chi dipende l’Italia?
La dipendenza dell’Italia dal petrolio russo è molto meno marcata: solamente il 10% del totale importato nel 2021 arrivava da Mosca. Il dato sale al 25% se si guarda all’intera Unione Europea. Gli Stati Uniti hanno proposto di vietare l’import dalla Russia, ma per certi paesi (tra cui la Germania) resta difficile trovare nell’immediato una valida alternativa. Mosca, da parte sua, ha risposto alla proposta statunitense minacciando di chiudere il principale gasdotto verso la Germania.
Nel frattempo, WTI e Brent sono ai livelli più alti degli ultimi anni. A livello globale non è facile credere che un aumento della produzione possa essere sufficiente a equilibrare gli ultimi aumenti: secondo quanto affermato dagli analisti di Goldman Sachs, una riduzione dei consumi causata dagli alti prezzi è l’unico meccanismo di bilanciamento dei prezzi. Un crollo della domanda che resterà legato a fattori contingenti e che potrebbe portare a una nuova situazione di equilibrio. Nella speranza che l’embargo del petrolio russo rimanga un’ipotesi lontana e non si trasformi invece in una nuova prova di forza del Cremlino destinata a far schizzare i prezzi verso un nuovo picco.