Perché leggere questo articolo? Podcast, tra licenziamenti di Spotify e stato del settore in Italia: intervista all’esperta Andrea de Cesco
“Non parlerei di crisi economica dei podcast, la situazione di Spotify è molto specifica“. Andrea de Cesco, ideatrice e autrice del progetto “Questioni d’orecchio“, la newsletter più titolata in Italia sul mondo dell’audio, distingue, in questa intervista per True-News.it, i recenti tagli dell’azienda svedese da una riflessione più generica sul settore podcast. Il colosso di Daniel Ek ha cancellato due format acclamati dalla critica, “Heavyweight” e “Stolen” nell’ambito della ritirata strategica dalle produzioni interne. Entrambi i podcast completeranno le stagioni in corso, fa sapere la società. I produttori saranno poi liberi di acquistare gli spettacoli. Tagli che arrivano dopo il terzo ciclo di licenziamenti. “Si arriva – spiega la giornalista – a circa 2300 posti tagliati nel 2023”.In casa Spotify i podcast sembrano fare rima con fallimento. O quantomeno insuccesso. Andrea parla di “scelte sbagliate”. Che riguarderebbero solo l’azienda, non l’intero settore dei racconti a voce.
Spotify continua a licenziare. Taglia podcast. E’ un segno di crisi del settore?
La situazione di Spotify è molto specifica. L’azienda si occupa principalmente musica con cui ha sempre fatto fatica a fare soldi. Sono stati pochi i trimesti in cui i conti sono risultati in attivi. Per quanto riguarda i podcast, l’azienda si è affidata a persone provenienti dal mondo di Hollywood e del cinema, che hanno provato a guadagnare dai podcast senza conoscerli. Sono stati fatti investimenti sbagliati, in eccesso, in un periodo di forte crescita delle aziende tecnologiche. Spotify è stata, però, tra le più ingenue. Non solo una scarsa conoscenza del settore da parte del management, ma anche spese eccessive: pensiamo a 200 milioni di dollari per “Joe Rogan” che hanno portato a trimestri negativi uno dopo l’altro. Il contratto con Joe Rogan scade nel 2024: vedremo cosa faremo. Si arriva a 2300 posti sbagliati nel 2023. E’ la risposta a scelte sbagliate che riguardano Spotify non i podcast.
Sta scoppiando la bolla dei podcast?
Non ha senso parlare di bolla, è proprio sbagliato. Non è che sono molto diversi dal business dei video in streaming o da quello dei giornali. E’ un settore di intrattenimento su cui le persone fanno investimenti più o meno buoni. Al massimo possiamo dire che a un certo punto le persone si sono accorte che i podcast esistevano e hanno fatto investimenti un po’ ingenui. Senza pensare bene a cosa trarne, senza conoscere le esigenze del pubblico e capire perchè hanno successo.
Non è che la bolla sta scoppiando. E’ che il mercato, e chi ci ruota attorno, sta diventando un po’ più maturo e consapevole. Non si è ancora trovato un modello di business. Adesso i podcast permettono di fare soldi in modo indiretto: non è detto che non si trovi un modo vincente per fare soldi con i podcast. Un po’ tutto il mondo editoriale e culturale è in crisi per motivi geo-politici. C’è un lavoro di evangelizzazione che ancora mi sembra molto scarso, carente. Non scoppia nessuna bolla perchè non c’è nessuna bolla.
Qual è lo stato del podcasting in Italia?
Il mondo del podcast in Italia vive di riflesso rispetto a quanto succede negli Stati Uniti. Che fa preoccupare chi si occupa di podcast in Italia. Dove, però, continua a esserci molta vivacità. La presa di coscienza di tutta una serie di errori strategici può essere utile, può dare un vantaggio a chi se ne occupa da noi. Anche in Italia molti puntavano su Spotify, come modello di guadagno, ma hanno capito che non è così. Per fare soldi si stanno usando metodi creativi: si monetizzano le community che può essere una brutta espressione ma è molto sano che chi crea cose belle si faccia sostenere dal suo pubblico. Ci sono case editrici che investono nei podcast, nascono realtà, vediamo crescere indipendenti con prodotti bellissimi e poi Rai Play Sound: dopo anni di assorbimento, la piattaforma del servizio pubblico si sta muovendo in una direzione molto arricchente.
Quali modelli di sostenibilità sono emersi nel settore nel 2023?
I branded podcast funzionano bene. Perchè costano meno per i brand rispetto ad altri prodotti. E i marchi possono spendere cifre dignitose per chi fa produzioni di buon livello. Poi c’è chi continua a vendere fuffa: questo purtroppo è inarrestabile. Sappiamo che i branded podcast danno buoni risultati agli investitori. Sulle inserzioni pubblicitarie, siamo in una fase ancora molto embrionale: ci sono poche aziende che investono cifre di grande livello. Anche qui manca l’evangelizzazione. Le pubblicità sui podcast, quando fatte in modo sensato, funzionano.
Lavorare bene sulle proprie community di riferimento mi sembra una strategia intelligente. Un esempio è il podcast daily di Jonathan Zenti. Credo che bisogna educare gli ascoltatori a pagare per quello che ascoltano. Si può spingere di più anche in virtù del legame tra chi narra e chi ascolta che si instaura con il mezzo.
Sviluppi futuri?
Chi è in questo mondo prenderà sempre più coscienza dei limiti di monetizzazione dei podcast. E assumerà consapevolezza dei piani di monetizzazione che precedono addirittura la creazione dei prodotti audio. Si sta arrivando sempre più a comprendere vantaggi e limiti, non invalicabili dei podcast. Si sta imparando a non fare il passo più lungo della gamba, a muoversi in modo più strategico, umile. Ascoltando le esigenze di chi ascolta. Il potenziale dei podcast è altissimo.