Perché questo articolo potrebbe interessarti? L’ultimo report di Nature ha certificato 61.672 persone morte in Europa a causa del caldo. L’Italia ha pagato il prezzo più alto con 18mila vittime. La situazione sul lato clima è critica ma il report sottolinea ben altro. Che Roma, a differenza di altri Paesi, non ha un sistema sanitario capace di far fronte alle nuove esigenze della società.
Armageddon ambientale, strage del clima, vittime del cambiamento climatico. L’ultimo report pubblicato da Nature, e intitolato Heat-related mortality in Europe during the summer of 2022, ha scatenato una crociata ambientalista contro i danni provocati dall’aumento delle temperature.
Passando in rassegna le 23 pagine del documento si leggono dati preoccupanti. Nell’estate del 2022, precisamente nel periodo compreso tra il 30 maggio e il 4 settembre, in Europa sarebbero morte 61.672 persone per il caldo. Il maggior numero di vittime si sarebbe contato in Italia, con 18mila decessi.
Tutta colpa solo ed esclusivamente dell’afa, in quella che è stata definita l’estate più calda di sempre? Certo, pesano le temperature che per tre mesi si sono mantenute costantemente sopra la media. Ma, accanto al “caldo”, vale la pena accendere i riflettori sull’efficienza del sistema sanitario italiano. Per altro messo già a durissima prova durante la pandemia di Covid-19.
Se, numeri alla mano, l’emergenza climatica ha generato decine di migliaia di vittime nel continente, per quale ragione quasi un terzo di esse è concentrato in un solo Paese, ovvero l’Italia? La sensazione è che sia necessario distinguere le reali vittime delle ondate di calore fuori norma dai morti causati, indirettamente, da un’inefficiente ospedalizzazione. A sua volta generata da poche risorse investite nella sanità e una scarsa organizzazione.
La ricerca di Nature sul clima
La ricerca di Nature descrive, nel dettaglio, cosa è accaduto negli ultimi anni dal punto di vista climatico-ambientale. L’assunto base è che le emissioni di gas serra hanno portato ad un aumento rilevabile delle temperature globali, a sua volta associato all’aumento della frequenza e dell’intensità delle ondate di calore e delle estati calde.
A livello globale, si evince che gli ultimi otto anni sono stati i più caldi mai registrati e il 2022 è stato il quinto anno più caldo di sempre. L’esposizione al calore – ed è questo il secondo punto chiave del paper – rappresenta una grave minaccia per le popolazioni ad alto rischio in Europa e nel mondo, e contribuisce in modo sostanziale all’aumento della morbilità e della mortalità.
Durante l’estate del 2003, in Europa si sono verificati oltre 70.000 decessi in eccesso. La consapevolezza sociale che ne è derivata ha portato alla progettazione e all’attuazione di strategie di adattamento per proteggere le popolazioni più a rischio. Un anno fa è successo qualcosa di simile. Per gli esperti non un caso eccezionale – e cioè un’estate più calda del solito – bensì una sorta di antipasto delle estati future.
In uno scenario del genere, Nature ha quindi elencato alcuni numeri. Italia, Spagna e Germania risultano essere i Paesi che hanno avuto i più alti numeri di mortalità correlata al caldo estivo, con rispettivamente 18.010 decessi, 11.324 e 8.173. Italia, Grecia, Spagna e Portogallo hanno invece fatto registrare i più alti tassi di mortalità legati al caldo con, nell’ordine, 295 decessi per milione di abitanti, 280, 237 e 211.
Il fattore del sistema sanitario
Si noterà che i dati dell’Italia sono molto più alti rispetto a quelli degli altri Paesi europei. Anziché interrogarsi sulle motivazioni di una simile discrepanza, gli ambientalisti hanno subito sfruttato il report Nature per sventolare la loro bandiera green. La ricerca diffusa dalla prestigiosa rivista illustra tuttavia ulteriori aspetti da prendere in considerazione. In primis, l’efficienza, non solo dei piani allestiti dai vari governi, ma anche e soprattutto dei sistemi sanitari nazionali.
L’arrivo del nuovo coronavirus aveva messo al centro del dibattito pubblico e politico la qualità degli ospedali del nostro Paese. Vale la pena riprendere il discorso sostituendo la minaccia Covid-19 con il cambiamento climatico.
Lo scorso ottobre, la Fondazione Gimbe ha presentato il quinto Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN), collocando l’Italia al 16esimo posto in Europa in termini di spesa sanitaria e ultima tra i membri del G7. Nello specifico, la spesa pubblica pro-capite italiana si colloca ben al di sotto della media OCSE (3.052 dollari contro 3.488 dollari) e in Europa si piazza al 16esimo posto.
Ben 15 governi investono di più in sanità, con un gap dai 285 dollari della Repubblica Ceca ai 3.299 della Germania. “Poco è cambiato rispetto all’era pre Covid”, ha tagliato corto la stessa Fondazione Gimbe. E, di questo passo, poco continuerà a cambiare anche in vista del futuro. Quando, secondo l’Istituto per la salute globale ISGlobal di Barcellona, potrebbero morire 68mila persone nel 2030, 94mila nel 2040 e 120mila nel 2050.
Considerando che nelle altre nazioni europee le vittime del caldo sono state arginate, la ricerca di Nature dovrebbe far accendere un campanello d’allarme sul tema della sanità e non solo sul cambiamento climatico.