“Il problema non è legato tanto alle tasse, non siamo il Paese con più tasse sul lavoro. La risposta è che i salari vanno di pari passo con la produttività”. Parola di Luigi Marattin, responsabile economia di Italia viva, ai microfoni della trasmissione radiofonica di Radio Cusano Campus “L’Italia s’è desta”. Forse intendeva “Italia Viva s’è destra”. Fatto sta che il concetto, che farebbe rabbrividire anche il più turbo-liberista sostenitore di Reagan, è stato ripetuto poco dopo sui social del renziano presidente della Commissione Finanze della Camera.
La legge del salario
“A sinistra la foto che tutti mostrano: i salari in Italia sono praticamente fermi da 30 anni. A destra quella che in pochi mostrano: la produttività del lavoro nello stesso periodo. Persino più del peso fiscale, eccola la ragione per cui i salari non crescono“. Recita il testo del post tweettato da Marattin.
Un tempo a sinistra c’erano i partiti operai (comunista e socialista) a tutela del lavoro dipendente e pubblico. Oggi la miglior rappresentazione di quanta poca sinistra ci sia nel centro che ha cannibalizzato il fu-Pci è tutta nelle parole del teorico economico di Renzi.
Comprensione del grafico
Entrando nel merito del collage proposto sul web da Marattin, c’è molto da discutere. A partire dalla risultante dei grafici scelti, che non sembrano supportare la teoria avanzata con un po’ troppa sicurezza dal Presidente della Commissione Finanze.
Alla sinistra dello schermo, il deputato di Iv mostra ai web-nauti un arcinoto diagramma Ocse. Il grafico mostra il dato impietoso dei salari in Europa. L’Italia è l’unico paese della zona Euro dove la variazione percentuale della retribuzione media tra il 1980 e il 2020 segna un negativo: -2,90%. Nello stesso periodo gli stipendi in Lituania hanno segnato un +280%, in Germania sono aumentati del 33%, in Francia del 31% e anche in Spagna – fanalino della lista prima di noi – sono aumentati del 6%.
In rosso ci siamo solo noi. Ed ecco che alla destra di Twitter compare il dato che dovrebbe spiegarne le ragioni: quello sulla produttività. Peccato che la variazione della produttività nel settore privato tra il 1995 e il 2020 segni una crescita, del 15% fino all’avvento della pandemia. In coda nei salari e in coda nella produttività, ma solo nel primo caso si registra un negativo. Rimane da capire in che modo Marattin possa mettere in correlazione il -2,90% degli stipendi col +15% della produttività. Di fatto, il deputato di Iv sembra confermare il contrario di quello che vorrebbe affermare.
Causa effetto
Al netto del dato sbagliato – che nel paese delle fake news sulla comprensione del testo può anche passare inosservato – il nesso non supera nemmeno il principio di causa ed effetto. Tra salari e produttività, bisognerebbe invertire il paradigma.
Senza scomodare Marx – che a Marattin potrebbe anche risultare indigesto – il rendimento del lavoro è bassa proprio perché è calato l’incentivo salariale. La correlazione del deputato di Italia viva tira fuori il peggio della trickle-down economy, “l’economia a cascata” cara a Reagan e ai liberisti degli anni Ottanta.
Peccato che alla base del cosiddetto Reaganomics, la politica economica del presidente-attore, ci sia un barlume di “sgocciolamento“. Gli incentivi ai datori di lavoro sotto forma di abbassamento delle tasse dovrebbero favorire – nell’ottica dei liberisti anni ’80 – un aumento dei consumi e di conseguenza dei salari. Anche un appassionato di grafici come Reagan quindi avrebbe da ridire sul collage di Marattin.
Si fa presto a dire “produttività”
Dopo un dato e una correlazione sbagliata, viene da chiedersi che cosa intende l’onorevole Marattin con “produttività”. Certamente è una delle variabili più studiate dall’economia teorica e applicata, perché rappresenta uno dei fattori più rilevanti per spiegare la crescita del prodotto di un’impresa e, a livello aggregato, di uno stato. L’enciclopedia Treccani definisce la produttività come “la misura dell’efficienza del processo produttivo, data dal rapporto tra output e input”. Può essere un indicatore per un singolo lavoratore, per un’azienda o per tutti fattori di produzione.
Alla base della produttività c’è quindi il concetto di efficienza, che può dare vita a fraintendimenti. Non sono sinonimi: l’efficienza significa come vengono utilizzate le risorse a disposizione, mentre la produttività fa riferimento ai risultati ottenuti con le risorse impiegate. Sin dall’inizio dell’economia classica, una variabile fondamentale della crescita della produttività è stata individuata nell’efficienza, che si lega indissolubilmente ai salari.
Alfred Marshall nell’Ottocento ha elaborato la “teoria dei salari efficienti”. Anche nella patria della Rivoluzione industriale e di Margaret Thatcher era chiaro che i salari devono essere il più alto possibile rispetto alla soglia di parità della domanda e offerta di lavoro per incentivare la produttività. Chissà che questo concetto non arrivi per sgocciolamento anche a Marattin.