Perché leggere questo articolo? Dopo lo scampato pericolo sfiducia, Salvini prepara un piano salva-casa. Lui lo chiama “sanatoria” per le difformità della casa. La realtà dei fatti sembra far propendere per l’ennesimo condono edilizio. Il nostro Paese toccherebbe così “quota 100”, un quinto dei condoni arrivano dal governo Meloni.
Da cosa si capisce che siamo in campagna elettorale? Dalle proposte dei politici, ovviamente. Ecco che, come d’incanto, torna la parola magica “condono”. Ma non chiamatelo così. Nel proporre un insieme di norme per sanare le “piccole irregolarità e difformità strutturali delle abitazioni”, il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Salvini parla di “pace fiscale“. Le opposizioni tuonano parlando invece di “condono neanche troppo mascherato”. Fatto sta che nessuno può fare la predica. La nostra è una Repubblica fondata sui condoni. Il “salva-casa” di Salvini ci fa arrivare a cifra tonda: la fantomatica “quota 100” ma dei condoni.
100 condoni, sono 60 miliardi in 10 anni
Sessanta miliardi di euro: il costo dei condoni, in termini di mancato gettito, nell’ultimo decennio è pari a quello di due manovre finanziarie. In Italia tra remissioni volontarie, sanatorie e pratiche di tipo simile, quella che doveva essere un’eccezione sta diventando la regola. Una regola costosissima. Il portale True Numbers ne ha contati 82 nella storia d’Italia prima della nascita del governo Meloni. La sanatoria sulle cartelle esattoriali della manovra 2023 è stato l’83esimo.
Ecco, l’arrivo del centrodestra al governo ha dato una spinta propulsiva alla Repubblica dei condoni. Una ricostruzione dell’Espresso calcola In meno di due anni sono stati ben 18, di cui 12 solo nella prima manovra economica. Un record, secondo il capogruppo dell’Alleanza Verdi e Sinistra Peppe De Cristofaro, presidente del gruppo Misto di Palazzo Madama: “Dai contanti alle tasse concordate, dal salvacalcio allo stralcio delle cartelle, dagli scontrini agli scudi penali e infine la ciliegina sulla torta con il colpo di spugna sulle cartelle solo dopo cinque anni”.
Ebbene, la storia insegna che quella dei condoni e delle sanatorie è una strada tutt’altro che positiva per il Paese. L’Italia ha di fatto promosso in media una misura di questo tipo ogni due anni dall’inizio della sua storia unitaria a oggi. “Dal 1861 al 1972 non si può, tecnicamente, parlare di veri e propri condoni fiscali i quali consistono nella possibilità data al contribuente di non pagare delle tasse o delle imposte dovute per legge”, nota True Numbers. “Tecnicamente si può parlare di sanatorie fiscali perché al cittadino è stata data la possibilità, appunto fino al 1972, di non versare sanzioni e/o interessi su tasse e imposte comunque pagate. Dopo quella data si è passati direttamente ai condono fiscale vero e proprio”, che riduce i gettiti ordinari delle misure o consente di uscire da situazioni illegali”. Con il salva-casa di Salvini arriviamo finalmente a quota 100 condoni.
Un fronte trasversale
A partire dall’inizio del nuovo millennio, sono molte le misure di condono di varia taglia promosse dagli esecutivi in carica. Destra e sinistra, moderati e populisti: tutti pazzi per i condoni. Non c’è differenza di colore politico. Il governo Berlusconi II approvò nel 2001 lo scudo fiscale, seguito dalla sanatoria fiscale del 2003 (legge 289/2002). Le due misure avrebbero dovuto garantire 26 miliardi di gettito, undici anni dopo ridotti a 22 per la mancanza di 4 miliardi dal gettito complessivo. Il successivo condono, di nuovo denominato scudo fiscale, risale al 2009, con il governo Berlusconi IV, e ha garantito ingressi per 5,6 miliardi di euro di capitali.
Negli anni successivi, si segnalano altri quattro condoni. Nel 2015, il governo Renzi approvò la voluntary disclosure per l’emersione dei capitali all’estero: su 60 miliardi di euro di risorse emerse, ne andarono al Fisco 3,8. Nel 2018, il governo Conte I introdusse il “saldo e stralcio”, che prevedeva un avvio di “pace fiscale” con la riduzione di un debito tributario per soggetti in difficoltà economica su piccole cartelle esattoriali: debiti per 1,3 miliardi di euro furono trasformati in un gettito di 700 milioni.
I gialloverdi estesero nel 2018 le misure di rottamazione delle cartelle esattoriali consolidate dai governi Renzi e Gentiloni: la rottamazione 2016, introdotta da Renzi, consentì all’erario di riscuotere 8,4 miliardi di euro su 17,6. La seconda finestra, con Gentiloni, 2,6 su 8,5 miliardi di debiti. La rottamazione gialloverde, invece, fu il più grande dei mini-condoni erariali, garantendo allo Stato 6,3 miliardi su 26,3 complessivi. Sono poi seguiti i condoni di Draghi, la Rottamazione-quarter, e il nuovo saldo e stralcio targato Meloni.
I costi dei condoni
I costi dei condoni, in quest’ottica, sono calcolabili con attenzione solo a partire dai condoni dell’era Renzi. I 3,8 miliardi di euro incassati sui 60 emersi all’estero nella discolsure di Renzi sono stati pari al 6,33% del valore complessivo. Per fare un paragone, i dividendi esteri hanno una tassazione al 26%. Normalmente, questi capitali avrebbero subito una imposizione di 15,6 miliardi di euro. Parliamo dunque di 11,8 miliardi di euro di mancato gettito per l’erario.
Questi, sommati alle varie amnistie e ai condoni accumulati negli anni consentono di calcolare il gettito perso nell’erario solo nell’ultimo decennio: 11,8 miliardi per il rientro dei capitali dall’estero, 600 milioni per la pace fiscale, 35,1 miliardi per il primo “terzetto” di rottamazioni. Il totale, dal 2015 a oggi, fa 47,5 miliardi. A cui bisogna aggiungere il fatto che il think tank economico LaVoce.info ha stimato incassabili solo 12,4 dei 25,4 miliardi di euro emersi come debiti “rottamati” con la rottamazione quarter, i cui dati definitivi sono ancora da calcolare. Il risultato? 60 miliardi in meno di dieci anni. E tutto questo senza calcolare il buco nero dell’era Berlusconi, in cui le stime non erano ancora così approfondite.
Tutti i problemi dei condoni
In base ai dati forniti dall’Agenzia delle Entrate, i governi italiani hanno incassato circa 53,8 miliardi di euro con i condoni fiscali e le sanatorie dal 2000 a oggi. Le cifre coinvolte sono stimate però essere almeno cinque volte più grandi in termini di debiti su cui il condono dello Stato si è reso operativo. E questo impone delle serie riflessioni sull’utilità di queste misure.
Uno dei principali problemi dei condoni fiscali è che scoraggiano l’assolvimento degli obblighi fiscali. I contribuenti sanno che, in futuro, potranno sempre beneficiare di un condono, quindi non hanno alcun incentivo a pagare le tasse in modo regolare. Questo comportamento, nel lungo periodo, può portare ad una riduzione delle entrate fiscali e ad un aumento dell’evasione.
Un altro problema dei condoni fiscali è che favoriscono l’utilizzo di prestanome. I contribuenti che non vogliono pagare le tasse possono utilizzare prestanome per nascondere i propri redditi occulti. In questo modo, possono beneficiare del condono fiscale senza incorrere in alcun rischio.
Infine, i condoni fiscali possono danneggiare la credibilità dello Stato. I contribuenti che pagano le tasse in modo regolare si sentono defraudati quando vedono che i trasgressori vengono perdonati. Questo può portare ad una perdita di fiducia nel sistema fiscale e ad un aumento dell’illegalità.
Una misura straordinaria diventa ordinaria. Ed è un male
Difendere i cittadini più deboli e in difficoltà dalle fragilità che un eccessivo onere debitorio pregresso in condizioni di insolvibilità può far emergere è un conto. Condoni generalizzati legati alla difesa di privilegi di vario tipo e all’emersione di sommersi concentrati nelle parti alte della distribuzione del reddito sono antieconomici, anticoncorrenziali e nemici dello sviluppo. Lo storico e sociologo Alessandro Volpi, a tal proposito, ha scritto su AltraEconomia che è fallace l’idea di fondo che spesso giustifica i condoni. Quella, cioè, di un fisco irrimediabilmente nemico dei cittadini: a fronte di 1.110 miliardi di euro di crediti non riscossi dall’ente tributario centrale, “la stessa Agenzia stima che solo 110 miliardi circa siano realmente esigibili e le ultime rottamazioni ne hanno già cancellati oltre 40. In pratica di 1.000 miliardi di euro da riscuotere ne restano una sessantina. Non mi sembra perciò che nel nostro Paese ci sia stata mai una “guerra” contro chi non paga, anzi direi che esiste da tempo una pace perpetua”. La pace dei condoni, con buona pace dei furbi.