Perché leggere questo articolo? L’indagine a Sergio Alfieri, il chirurgo che ha operato il Papa e che anziché essere in sala operatoria andava ai convegni, è solo l’ultimo episodio di un’atavica patologia della nostra Sanità: la medicina intramoenia.
L’ultimo caso è quello di Sergio Alfieri, ma quella di medici che commettono illeciti operando all’interno delle strutture pubbliche in regime privatistico è una lunga storia. Storia che ha un nome: intramoenia. La locuzione viene dal latino: significa “tra le mura”. Quelle delle città da assediare in una versione al liceo, o di un ospedale nel caso del nostro Servizio Sanitario Nazionale, così spesso associato al gergo bellico in tempi di pandemia. Ora che la guerra al virus è finita, i nostri eroi in camice sono tornati nel dimenticatoio, salvo ricomparire sotto forma di briganti quando si parla di “malasanità“. Se per la lotta al covid il paragone poteva anche avere un senso, nel caso del “chirurgo del Papa” c’è poco da meravigliarsi. Volenti o – assai poco – nolenti, quella dell’intramoenia è una lunga storia italiana.
Breve e drammatica storia dell’intramoenia
La legge che regola la professionale intramoenia dei medici e chirurghi è del 1996. Porta la firma di Rosy Bindi, all’epoca – quando ancora non andava di moda il femminile per le cariche – Ministro della Sanità del I governo Prodi. L’ondata di liberalizzazioni dell’esecutivo del Professore a quei smantellava l’Iri, svendeva partecipate strategiche come Telecom e con le “lenzuolate” di Bersani – ministro dell’Industria – liberalizzava intere filiere. Fino ad arrivare alla Sanità pubblica.
L’attività liberoprofessionale intramoenia era stata immaginata da Bindi per abbattere le liste di attesa. La ratio era permettere al paziente di scegliere il professionista – pagando cifre ragionevoli – ed evitare di disperdere le diverse professionalità nelle cliniche private situate al di fuori dalle strutture pubbliche. Via libera dunque alle prestazioni sanitarie erogate al di fuori dell’orario di lavoro, da parte di medici, chirurghi e personale sanitario che normalmente lavora in ospedale con un contratto pubblico. Tutti felici e contenti, ma solo sulla carta.
Gli apprendisti stregoni di Bindi
“Se in tutta Italia si fossero seguiti i sacri canoni della riforma che introdusse l’intramoenia, forse avremmo potuto rispondere ad esigenze di ieri ma soprattutto di oggi”. Anche la ministra Bindi negli anni ha dovuto fare una parziale retromarcia sulla legge di cui ha la maternità. Che rivendica, nonostante lo sgarbo subito. “Fui sostituita da Ministro proprio nel momento in cui fu firmato e approvato il contratto che la finanziava“.
Dell’intramoenia, Bindi rivendica la maternità, non la gestione, “lasciata agli apprendisti stregoni dei vari modelli organizzativi in giro per l’Italia”. Si perché più che gli apprendisti stregoni, sembra essersi messo di mezzo il diavolo, con tanto di pentole e coperchi. Le prime crepe nel sistema idealmente perfetto dell’intramoenia comparvero subito. A cominciare dal fatto che, a distanza di anni, rimangono pochissime le strutture ospedaliere che dispongono di luoghi per attività separati. Ambulatori, sale operatorie e posti letto si sono immediatamente prestati a un ambiguo gioco tra pubblico e privato.
Intramoenia “allargata” ai furbetti
Si è così arrivati a capolavori del barocchismo legislativo-burocratico. Dall’attività intramoenia “allargata”, col medico che legalmente può svolgere l’attività privata per l’ospedale in altre strutture private accreditate. E’ stata, infine, liberalizzata la pratica privata nello stesso ospedale in cui il medico svolge attività pubblica. Negli stessi spazi dell’ospedale che venivano, e vengono tuttora, usati per il lavoro istituzionale, con la legge del 2012 voluta da Balduzzi, ministro del governo Monti. La politica ha scelto di fotografare a livello legale quello che da tempo accadeva col benestare di tutti. E che ogni volta ci fanno storcere il naso, gridare allo scandalo… e poi prenotare la visita privata in una struttura pubblica.