Il Sole 24 Ore ha deciso di fare i conti in tasca al Festival di Sanremo. Amadeus guadagna circa 600mila euro (dicono). Le presentatrici costano: solo Ornella Muti prenderà 25mila euro. I tecnici e le maestranze costano, i truccatori costano. I cantanti percepiscono 48mila euro l’uno come rimborso spese. Il teatro Ariston costa, gli alberghi costano, pensate che solo il comune di Sanremo riceve 5 milioni di euro. Per non parlare dei super ospiti: tra Laura Pausini e i Maneskin, alla Rai partiranno circa 150mila euro. Il costo complessivo di Sanremo 2022 supererà di poco i 17,3 milioni di euro. Partiamo dal fatto che la Rai, come diceva Mahmood, pensa solo ai soldi, anche perché ha un debito di 523 milioni di euro e un costo del personale di circa 800 milioni l’anno. Ma questa è un’altra storia.
Per mantenersi in vita, il servizio pubblico deve farsi due conti. La Rai, com’è noto, guadagna soprattutto dal canone, un terzo delle entrate invece arriva dalle pubblicità ed è qui che il Festival le canta a tutti. Sanremo incide per il 5% sugli introiti pubblicitari, nel 2021 ha portato nelle casse Rai ben 38 milioni di euro grazie agli investimenti dei brand durante la kermesse. Insomma il doppio rispetto alle spese. Sanremo offre agli sponsor una vetrina televisiva immensa e da pochi anni anche uno spazio web e social enorme grazie a Rai Play e YouTube (nel 2021 oltre 30 milioni di interazioni online e 72 milioni di visualizzazioni web). La prima serata del festival di Sanremo andata in onda martedì 1° febbraio è stata seguita da 10.911.000 spettatori e ha raggiunto il 54% di share. Uno share così alto non si vedeva da 17 anni. Visti i risultati, Rai pubblicità ha fatto bene ad alzare il tariffario del 15%: a oggi, uno spot standard da 30 secondi può arrivare a costare fino a 370.380 euro per singolo passaggio e una telepromozione con Amadeus che balla male costa 440 mila euro. Sanremo è sempre Sanremo.
Pausini, una carriera lunga e… ricca: quasi 100 milioni in cento anni
E a proposito di artisti, Laura Pausini: dal Lussemburgo a Sanremo, quasi 100 milioni incassati in 25 anni. Mica male. La cantante di Faenza anche quest’anno al Festival di Sanremo. Ha venduto oltre 70 milioni di dischi. I guadagni, racconta “Fiume di denaro”, sono conservati nella società Gente Edizioni Musicali. Una carriera lunga e ricca dunque. Il 4 ottobre 1999 Laura Pausini è all’apice del successo. Nel 1993, a 19 anni, ha vinto il Festival di Sanremo tra gli esordienti con «La solitudine» e l’anno successivo si è classificata al terzo posto tra i big con «Strani amori». Canta anche in spagnolo e in inglese, i suoi brani si vendono come il pane. A 25 anni, insomma, è già un caso internazionale. È la cantante italiana che vende più dischi al mondo e ha già alle spalle due tour mondiali che l’hanno fatta conoscere in Europa. In questi giorni a Sanremo e poi l’Eurovisione. Auguri Laura.
Calzedonia ha ripreso a marciare: nel 2021 fatturato +29,1%
Il Covid non fa male ai piedi. Ne sa qualcosa il gruppo Calzedonia. Più che un gruppo, Calzedonia assomiglia sempre di più a un mosaico di marchi e iniziative, unico al mondo nel suo genere. E nel 2021 ha ripreso a crescere, recuperando tutto il terreno perduto nel 2020 e chiudendo in positivo (+3,9%) anche rispetto al 2019. Il fatturato 2021 dell’azienda è salito del 29,1% a cambi correnti (+30,5% a cambi costanti) a 2,505 miliardi, un traguardo al quale hanno contribuito tutti i brand in portafoglio: Calzedonia, Intimissimi e Intimissimi Uomo, Tezenis, Falconeri (abbigliamento e accessori in filati pregiati), Atelier Emé (abiti da sposa e da cerimonia) e Signorvino (catena di enoteche con ristorante).
Forte aumento anche della redditività: i dati preliminari indicano un ebitda superiore ai 760 milioni, in crescita di oltre il 40% rispetto ai 531 milioni del 2020. La quota di export è del 56% e in futuro potrà aumentare anche grazie all’e-commerce, che nel 2021 ha proseguito nel trend del 2020, l’anno in cui per molti mesi i negozi e i centri commerciali sono stati chiusi. Come accaduto in molti settori e aziende, la pandemia ha accelerato la digitalizzazione e nello scorso anno il gruppo fondato e guidato da Sandro Veronesi, ha aumentato gli investimenti in infrastrutture tecnologiche e digitali. L’obiettivo è raggiungere un’autentica multicanalità e quell’esperienza che gli americani chiamano seamless (senza cuciture, letteralmente) tra esperienze di contatto col brand e shopping nei diversi canali.
KFC, oltre 500 nuovi posti di lavoro in Italia
Chi ha detto che col pollo fritto non si va lontano? Venti milioni di euro di investimenti, venticinque nuovi ristoranti e oltre 500 nuovi posti di lavoro (indotto compreso). Sono i numeri che sintetizzano i piani di espansione in Italia nel 2022 di KFC (Kentucky Fried Chicken), l’azienda leader mondiale del pollo fritto. Il trend di crescita ha portato all’apertura di 57 store dal 2014, anno in cui il marchio del Colonnello Harland Sanders ha varcato i confini nazionali. Sono oltre mille «i posti di lavoro creati» sottolineano da KFC, con «una presenza femminile pari al 53%», e «più di 10 milioni i clienti serviti nel 2021», per un giro annuo d’affari di circa 65 milioni di euro. Delle 25 nuove aperture previste, il 40% sarà al Nord, il 20% al Centro e il 40% al Sud, «secondo tipologie differenti per offrire ai clienti il massimo della flessibilità, in totale coerenza con il contesto in cui sono inseriti».
Oltre ai ristoranti nelle food court dei centri commerciali (20% delle nuove aperture), verrà dedicato particolare spazio ai ristoranti nelle città (40% del nuovo mercato) e soprattutto nei centri storici, locali nella stragrande maggioranza dei casi dotati di finestra take away esterna per l’acquisto e il ritiro dei prodotti senza entrare nel ristorante (nel 2021 questa modalità ha coperto la metà del servizio), e di un dehors per mangiare all’aperto. In aumento anche le aperture con corsia drive thru (30% dei nuovi punti vendita): questo per rispondere a qualsiasi esigenza di sicurezza e distanziamento sociale, ma anche per rendere l’esperienza del gusto sempre più libera e inclusiva.
Per il 2022, KFC Italia ha scelto di dotarsi di un proprio servizio di consegna a domicilio: «una decisione che deriva dalla volontà di controllare direttamente questo canale offrendo la migliore qualità del servizio e una gestione del lavoro attenta e responsabile».
Carburante: dove conviene andare a fare benzina in Lombardia
Quanto costa un pieno di benzina o diesel in Lombardia? Per dire. Se lo chiede il quotidiano Il Giorno. Tutti a Bergamo a fare il pieno. Dove è più caro e dove conviene di più. Sul podio della benzina più costosa troviamo Como dove un litro al self service, mediamente, arriva a costare 1,78 euro, due centesimi in più rispetto alla media regionale che è di 1,76. Varese è seconda con 1,77 al litro, anche se i prezzi scendono sotto la media regionale per quanto riguarda il servito. E la provincia più conveniente? Bergamo dove un litro di benzina al self costa statisticamente tre centesimi in meno in confronto alle altre province (addirittura cinque rispetto a Como). Prezzi sotto la media di un centesimo anche sul servito.
E Milano? La benzina self service costa un centesimo in più rispetto alla media lombarda, 3 centesimi sul servito, dove risulta la provincia più cara con 1,91 al litro. Discorso più o meno simile per il gasolio. Il diesel self service più caro è a a Como , 3 centesimi in più della media, in linea a Varese, Sondrio e Milano. Il pieno meno caro è sempre a Bergamo dove gasolio si paga 3 centesimi in meno rispetto alle altre province. Si risparmia un centesimo anche a Brescia. Sul servito, Milano, come sulla benzina, schizza in testa: un litro arriva a costare 1,78 euro al litro, tre centesimi in più rispetto alla media (1,75 al litro). Varese invece, in linea sul self, scende sul servito (quasi un centesimo sotto la media).