Perché l’articolo potrebbe interessarti? Dopo le sanzioni inflitte a Mosca, l’Italia si è ritrovata carente di scorte di kainite. Da qui la caccia a nuove fonti di approvvigionamento, trovate proprio in quelle miniere in Sicilia chiuse e dismesse da quasi mezzo secolo.
C’è una statale in Sicilia, la n. 122, che è emblema stesso del vero entroterra dell’isola. Quello dove le immagini di mare, spiaggia e fichi d’india appaiono più lontane di quanto lo sono effettivamente. E questo perché la 122 parte dalle aree a nord di Agrigento e arriva a Caltanissetta. Un tempo era la strada di collegamento tra i due capoluoghi, oggi per fortuna è stata sostituita da una più moderna superstrada. Se si percorre la statale all’altezza di San Cataldo, si arriva nel paese di Serradifalco. Qui l’idea di una Sicilia arsa dal sole e dalla siccità viene a mancare. In queste aree sono i boschi a farla da padrone. E infatti, addentrandosi tra le campagne di Serradifalco, si arriva in prossimità di una miniera chiamata, non a caso, “Miniera Bosco”. Ma c’è una sorpresa: di boschi, proprio in questo punto, non c’è traccia. Al posto degli alberi, si trova una vasta distesa bianca, una vera e propria spianata sotto cui si nasconde silente la storia degli ultimi 40 anni di questo territorio.
L’esperienza delle miniere in Sicilia
Le comunità dell’entroterra siciliano sono accomunate da diverse caratteristiche proprie e peculiari rispetto alla vita che scorre lungo la costa. Tra queste, c’è l’esperienza della miniera. Dai paesi attorno Agrigento, risalendo lungo la Valle del Platani per arrivare poi al nisseno e alle campagne di Enna, è un susseguirsi di siti estrattivi. Da alcuni si tirava fuori lo zolfo, da altri il sale.
La miniera è autentica croce e delizia per quest’area della Sicilia: da un lato, soprattutto a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, ha portato migliaia di posti di lavoro e uno sviluppo industriale mai visto prima, dall’altro però ha portato anche condizioni di vita disumane per i minatori e per le loro famiglie.
L’esperienza della miniera ad ogni modo è poi progressivamente finita: prima è toccato agli impianti di zolfo chiudere i battenti, poi a quelli di sale. E non perché era finito il materiale, ma solo perché a un certo punto il mercato si è spostato da altre parti, dove minori erano i costi e maggiori le quantità da poter estrarre. La Sicilia, sul fronte minerario, non era più competitiva e sull’isola sono rimaste solo poche realtà.
C’era una volta la Miniera Bosco
La Miniera Bosco rientra in quella categoria di impianti che prima hanno rappresentato il motore economico del territorio e, successivamente, il simbolo dell’abbandono e della de industrializzazione. La spianata bianca che si vede dalla provinciale dietro Serradifalco, altro non è che la “montagna” di scarti prodotti dall’estrazione di sali potassici. Dagli anni ’80 sono lì, abbandonati all’acqua e al vento e capaci di trasformare un paesaggio prima dominato dai boschi.
Ma, come spiega il giornalista Alan David Scifo, qui il vero problema è rappresentato dall’amianto: “Attorno l’ex Miniera Bosco – dichiara ai nostri microfoni – ci sono tonnellate di amianto, gran parte depositatosi a seguito del crollo delle strutture lasciate a marcire”. Una bomba ecologica su cui spesso le associazioni locali, sia di Serradifalco che di San Cataldo, hanno provato ad accendere i riflettori. Senza tuttavia riuscire ad arrivare a grandi risultati.
L’inatteso aiuto delle sanzioni
Qualcosa però sta cambiando. La guerra in Ucraina iniziata nel 2022 ha messo l’Europa davanti alla sua vulnerabilità in fatto di materie prime. Il Vecchio Continente, dopo aver approvato le sanzioni contro Mosca, non si è ritrovato solo con lo spettro della carenza di gas. Al contrario, ha dovuto fare i conti anche con l’impossibilità di approvvigionarsi di alcuni minerali provenienti dalla Russia. Tra questi, su tutti, la kainite.
È partita così un’autentica caccia al minerale e molte aziende si sono fiondate sulla Sicilia e sulle aree delle vecchie miniere. A credere alle potenzialità della Miniera Bosco è stata l’italiana Gmri SrL. La richiesta alla Regione Siciliana per l’utilizzo dell’area risale al 2021 e riguardava soprattutto la montagna di scarti che caratterizza la zona. Poi, come ricostruito su IlFattoQuotidiano sempre da Alan David Scifo, sono stati fatti carotaggi anche per la kainite.
Il 5 agosto scorso, sul suo sito istituzionale la Regione ha dato notizia del via libera al progetto di bonifica e riutilizzo della Miniera Bosco. L’ente non sborserà un soldo, gli undici milioni di Euro del progetto verranno messi sul piatto esclusivamente dalla Gmri. Gli scarti saranno usati per i mezzi spargisale, poi si passerà alla bonifica dall’amianto e quindi all’estrazione di kainite: “Possono sorgere in tutto 400 posti di lavoro – commenta ancora Scifo – su questo progetto i paesi della zona contano molto, non solo per l’occupazione ma anche per vedere eliminata finalmente le criticità ambientali”.
Una nuova era per le miniere siciliane?
L’impressione è che Miniera Bosco possa rappresentare soltanto il primo di una serie di casi virtuosi per la Sicilia. Un’isola da anni condannata a convivere con la presenza di bombe ecologiche e di terre a stretto contatto con montagne di scarti e amianto. Sono tanti gli esempi di cimiteri industriali tra le province un tempo cuore dell’estrazione mineraria e su cui, da tempo, si aspettano preziose bonifiche. Se il caso di Miniera Bosco dovesse fare scuola, si potrebbe aprire una nuova fase per lo sviluppo industriale della Sicilia. Anche perché, al fianco del settore minerario, in questi anni sono arrivati da queste parti molteplici investimenti sul fotovoltaico e sulle energie rinnovabili. Il caso di Etna Valley e della Giga Factory di Catania ne rappresentano altri esempi.