La guerra in Ucraina ha stravolto lo scenario diplomatico internazionale e scosso le fondamenta dell’economia globale. Il grande tsunami provocato dalle sanzioni dell’Unione europea contro la Russia – e il conseguente isolamento del suo sistema economico dal resto del mondo – ha portato la sua onda fino a lambire l’Italia.
Un impatto di cui il professor Giulio Sapelli, economista nonché professore ordinario di Storia Economica all’Università degli Studi di Milano, prova a prevedere gli effetti sul medio e lungo periodo per la politica del nostro paese. Che a suo dire saranno sconvolgenti: “Le sanzioni sono una questione folle, che non ha alcuna base economica e diplomatica”.
La grave crisi internazionale ha sostanzialmente sconvolto, in via più o meno diretta, anche il grande risiko delle cosiddette partecipate italiane. “È chiaro che, quando abbiamo a che fare con imprese partecipate da uno Stato, le tensioni internazionali vanno a incidere direttamente su soggetti del genere. Nel caso italiano, è importante concentrarci sulla nuova rete di alleanze all’interno della quale si trova Roma. Una rete, di fatto, costituita da Stati Uniti e Unione europea. Dunque, atlantismo puro”.
“Le pressioni di uno Stato che è alleato della potenza dominante a livello mondiale – per certi versi potremmo dire per nostra fortuna – potranno eccome incidere sulla questione partecipate. In particolare, lo Stato potrà imporre alle partecipate dei ruoli diversi rispetto a quelli attuali”, ha spiegato, ancora Sapelli. I riflettori sono quindi puntati sulla pressione diplomatica, autentica chiave di volta dell’intera discussione. “Le partecipate – ha aggiunto il professore – potrebbero essere non più dominate dal possesso azionario ma dalla suddetta pressione politica e diplomatica. Tipica, tra l’altro, delle vecchie partecipazioni statali”.
Appare evidente come il peso della politica sulle partecipate possa aumentare a dismisura, soprattutto in una situazione di tensione internazionale come quella che stiamo vivendo. E questo discorso vale, ovviamente, anche per le partecipate relative ai settori delle energie e infrastrutture. Pensiamo, ad esempio, ad Eni, Snam e Saipe e alle loro relazioni con Cdp. “Il ruolo delle partecipate di questi due settori è destinato ad aumentare. In generale, dovranno tutte impegnarsi nella diversificazione, come ha intelligentemente fatto l’Eni recandosi in Algeria, precedendo perfino il governo. Ritengo che saranno sempre più fondamentali anche i rapporti che abbiamo con l’Egitto”, ha specificato Sapelli.
Impossibile non allargare l’analisi includendo il governo Draghi. La crisi ucraina ha cambiato anche la creatura architettata da Mario Draghi, e lo stiamo vedendo con il ruolo tutto sommato marginale che l’Italia sta giocando nella mediazione con la Russia. “Non siamo in un governo balneare. Diciamo però che sono cambiate un po’ di cose rispetto a quanto ho scritto assieme a Lodovico Festa nel libro Draghi o il caos”, ha puntualizzato Sapelli. Un Draghi versione Presidente della Repubblica avrebbe consentito all’Italia di sfruttare le garanzie che il personaggio Draghi avrebbe potuto dare all’ambiente finanziario. Ebbene, questo disegno è fallito per i motivi che sappiamo.
“Draghi, uomo di grandissimo standing morale ed etico, non ha quella competenza tecnica di cui si crede. Sarà esposto a una serie di sfide molto importanti. La nostra stabilità è a rischio”. E non è finita qui, perché il terremoto ucraino avrà riverberi anche più all’interno della politica italiana. Basta citare i contenuti del Pnrr, lo strumento che avrebbe dovuto rappresentare il fiore all’occhiello del governo Draghi. “Gli effetti della vicenda ucraina ci portano dritti alla creazione di una nuova mutualizzazione del debito”, ha concluso Sapelli.
Resta tutto da vedere – e capire – come farà Draghi a uscire dalle quasi imminenti sabbie mobili che lo attendono al varco.