Perché leggere questo articolo? Da quando esistono, le piattaforme streaming danno filo da torcere sia ai cinema che agli operatori del settore. Quest’ultimi chiedono trasparenza e paghe adeguate. Negli Stati Uniti il cinema è in parte paralizzato, da noi si rischia il collasso. True-news.it ne ha parlato con chi vive la situazione ogni giorno.
Tra cinque giorni l’Odeon, il primo multisala di Milano, verrà riqualificato in un centro commerciale con negozi, ristoranti, uffici e con (molto probabilmente) la metà delle sale cinematografiche ora presenti (cinque anziché dieci). Nel mentre ‘tirano su il morale’ gli oltre 10 milioni di euro di incassi (solo nel nostro Paese) generati dal film di Greta Gerwig, Barbie, a una settimana dalla sua uscita. Tuttavia, se alcuni film sono in grado di trascinare in sala gli spettatori, sono ancora troppe le persone che non vanno al cinema, ben sei connazionali su dieci nel 2022.
Ha provato a rimediare a questi numeri il ministero della cultura che ha rilanciato le sale con iniziative che prevedono biglietti a pochi euro. Tanti invece gli euro in più, rispetto agli scorsi anni, richiesti per gli abbonamenti streaming. Basti considerare che i servizi Ott video nel 2022 hanno ricavato 12 miliardi di euro in tutta Europa occidentale; una somma di circa il doppio dei box-office. Nonostante queste cifre, le piattaforme non sembrano ancora disposte a soddisfare le richieste di migliori compensi da parte degli artisti.
Lo sciopero del cinema negli Usa tocca anche l’Italia
Proprio a causa di bassi compensi, a partire dalla scorsa settimana il sindacato degli attori di Hollywood, SAG-AFTRA (che raggruppa oltre 160mila artisti iscritti, ndr) e i membri di quello del Writers Guild of America (WGA), hanno iniziato a scioperare. “C’è stato un cambiamento epocale nell’industria dell’intrattenimento. Dalla proliferazione delle piattaforme di streaming alla recente esplosione dell’IA generativa, e la posta in gioco è la capacità dei nostri membri di guadagnarsi da vivere”, ha affermato SAG-AFTRA in un comunicato stampa.
Scelta, quella dello sciopero, che ha avuto effetti anche nel nostro Paese, dove al Festival del Cinema di Venezia, che si terrà dal 30 agosto al 9 settembre prossimi, il film Challengers, di Luca Guadagnino, si è ritirato seguendo la scia delle proteste e ha ceduto il posto come film d’apertura a Comandante di Edoardo De Angelis.
“Compensi indecorosi per il cinema, gli artisti non vogliono l’elemosina”
Ma se i film italiani a Venezia sono più del solito (sono sei, ndr), non significa che il mondo del cinema Nostrano nuoti in acque tranquille. Già qualche mese fa i doppiatori italiani avevano scioperato per un maggior riconoscimento da parte dell’industria dell’audiovisivo. Ancor prima, il 15 aprile del 2021, in una conferenza stampa Artisti 7607 (organismo di gestione collettiva dei diritti connessi al diritto d’autore, fondato da Elio Germano, Neri Marcorè, Claudio Santamaria, Michele Riondino, Alberto Molinari e Carmen Giardina, ndr) aveva denunciato che all’aumento in streaming della diffusione di opere protette non corrispondeva il dovuto riconoscimento dei diritti di chi le interpretava.
“Con una conferenza stampa abbiamo denunciato in Italia l’atteggiamento di chiusura delle piattaforme, inclusa Netflix”, dice a Truenews.it Luca D’Ascanio, membro del consiglio di amministrazione di Artisti 7607. “Abbiamo respinto offerte di compensi indecorose e scollegate da ogni doverosa analisi dei dati. Gli artisti vogliono un compenso giusto, non l’elemosina di uno zero virgola. Ci sono leggi vigenti che le piattaforme non rispettano. Se necessario, proseguiremo in tribunale”.
Italia come Stati Uniti, anzi peggio
Il dato comune con gli Stati Uniti, secondo D’Ascanio, è che “le grandi piattaforme streaming, in veste di produttori, utilizzatori o entrambe le cose, non intendono compensare adeguatamente chi realizza e interpreta le opere con le quali ottengono enormi profitti”. Ai compensi inadeguati in fase di produzione che denuncia il sindacato SAG-AFTRA, secondo il regista “in Italia si aggiungono i compensi inadeguati agli artisti in fase di sfruttamento (massiccio) delle opere”.
“Le piattaforme negano l’accesso ai dati economici”
Da una parte, secondo D’Ascanio, “le piattaforme costituiscono il vantaggio di un’ampia diffusione delle opere, ma dall’altra trattengono i dati che occorrono a calcolare quanto debba spettare agli artisti. Le piattaforme negano l’accesso ai dati economici e di sfruttamento delle opere audiovisive, dati ai quali bisogna rapportare, come dice la legge, i compensi per gli artisti. Tenuti all’oscuro, autori registi e interpreti restano l’anello debole della globalizzazione streaming.”. Inoltre, “sui compensi per i diritti d’autore, in Italia storicamente intermediati da Siae, si registra la stessa sostanziale chiusura da parte dei grandi providers, ben visibile nel caso Siae e Meta”. Siae aveva di fatti tentato di capire come venissero usate le sue opere da parte di Meta e che proventi ne fossero derivati, cercando di arrivare ad un accordo che potesse riconoscere ai suoi artisti il giusto compenso.
“Il rischio sulle piattaforme è che nuove voci non riescano ad emergere”
Un altro aspetto che sfavorisce le sale cinematografiche riguarda il tempo che intercorre tra l’uscita di un film al cinema e la sua quasi immediata disponibilità sulle piattaforme. Una scelta che invoglierebbe ancora di più il pubblico ad attendere il film sul piccolo schermo. Come riportano i dati di Anec Lombardia, solamente nella città di Milano si è passati da 160 cinema durante gli anni ’70 a 29 strutture. Un destino che spinge sempre più chi lavora nel mondo del cinema a dirottare i propri prodotti sulle piattaforme, dove però, oltre a tutte le problematiche già affrontate, anche emergere non è facile.
“Il cinema sta vivendo una crisi a causa delle piattaforme e la sta vivendo in tutti i suoi aspetti, anche per il cinema indipendente che già fatica a trovare una collocazione nelle sale”, dice a Truenews.it Andrea Brusa, sceneggiatore e regista. “Un film indipendente rischia di perdersi se collocato sulle piattaforme. Essendo un prodotto con attori e registi meno noti, finisce in un ‘mare magnum’ in cui la valorizzazione di un nuovo autore diventa problematica. Il rischio è che sulle piattaforme molte voci creative non riescano ad emergere. Succede quindi che parecchi film hanno una visibilità vicina allo zero. In una situazione così stagnante, sono pochi i produttori e gli autori che decidono di correre il rischio”.