Perché questo articolo potrebbe interessarti? Fino a qualche anno fa erano le aziende europee ad aprire le loro attività in Cina. Oggi, sempre più spesso, assistiamo al fenomeno inverso: aziende cinesi che aprono distaccamenti in Europa. Il caso dell’Italia e l’ipotesi BYD.
BYD, il più grande produttore di auto elettriche e plug-in al mondo, sarebbe stato contattato dal governo italiano per attrarre nel Paese un secondo produttore di automobili oltre a Stellantis. Almeno è questa l’indiscrezione diffusa da Bloomberg, secondo cui l’esecutivo Meloni avrebbe messo nel mirino, tra le altre opzioni, anche la società cinese nel tentativo di dare slancio al settore dell’automotive.
Già, perché l’obiettivo di Roma coincide con lo sfornare 1,4 milioni di veicoli all’anno. C’è ancora tanta strada da fare, visto che nel 2023 le fabbriche del Belpaese hanno realizzato circa 750mila mezzi, contando automobili e furgoni. Da questo punto di vista le necessità del colosso di Shenzhen, desideroso di espandersi in Europa, sono tecnicamente complementari alle ambizioni italiane.
Indipendentemente da ciò che accadrà, è interessante sottolineare un fenomeno economico emblematico. Se fino a qualche anno fa erano le aziende italiane ad aprire le loro attività in Cina, oggi siamo arrivati all’esatto opposto. Detto altrimenti: sono le aziende cinesi ad essere contattate, o sempre più spesso a valutare, l’apertura di propri distaccamenti in Italia.
L’Italia e l’ipotesi BYD
Il caso BYD è lo specchio dei nuovi equilibri che regnano tra la Cina e l’Europa. Il Vecchio Continente, in ritardo sul fronte del mercato degli EV, sta cercando in tutti i modi di rimediare. Nel frattempo le auto elettriche made in China sono pronte a penetrare l’Ue come un coltello nel burro. Allo stesso tempo, insomma, le aziende del Dragone pensano di piazzare quartier generali nel Vecchio Continente.
Ma cosa c’è di vero nel presunto flirt tra BYD e il governo Meloni? “Il governo italiano e BYD hanno avuto contatti mesi fa, quando Byd valutava la possibilità di aprire uno stabilimento in Europa. Dopo la decisione finale, ricaduta sull’Ungheria, non ci sono stati più contatti con il governo italiano”, ha spiegato una fonte dell’azienda all’agenzia LaPresse.
“Abbiamo contatti con diverse case automobilistiche”, ha invece spiegato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. “Abbiamo lavorato sin dall’inizio della legislatura per migliorare la strumentazione e l’attrattività del sistema Paese. “Siamo l’unico Paese europeo che produce auto ad avere un unico produttore”, ha aggiunto lo stesso D’Urso. Il ministro ha quindi sottolineato che l’Italia ha avuto discussioni anche con altre case automobilistiche, tra cui Tesla.
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Ricapitolando: BYD vuole espandersi in Europa, mentre il governo Meloni intende rafforzare il settore dell’automotive nazionale. In che modo? Attirando una nuova grande casa automobilistica in patria dopo che Stellantis ha segnalato che potrebbe spostare parte della produzione in Paesi a basso costo.
All’apparenza, dunque, l’impressione è quella di essere di fronte ad un rapporto win-win. In realtà, seguendo il flusso d’investimenti dei due soggetti in causa otteniamo un quadro del tutto diverso. Se l’Italia non riesce più ad essere una potenza dell’automotive, la Cina lo è già da un pezzo.
Basta dare un’occhiata ai dati contenuti nell’ultimo report del think tank Rhodium Group. Gli investimenti diretti cinesi all’estero nel 2023 sono stati in gran parte rivolti verso la catena del valore degli EV. Lo scorso anno le società cinesi hanno dirottato in quest’area 28,2 miliardi di dollari.
Non solo: dal punto di vista geografico, i tre quarti dei citati investimenti esteri cinesi nel settore delle auto elettriche hanno riguardato, in forme equivalenti, Europa (il 92% del totale finiti in Ungheria, Finlandia e Svezia), Medio Oriente/Nordafrica e Asia. l segnale è chiaro: Pechino punta sull’Europa. L’Italia resta alla finestra. Flirta con BYD ma tiene aperta anche l’opzione Tesla. In attesa di capire le prossime mosse di Stellantis. Ma sperando di non diventare “la Cina” della Cina.