La palla è rotonda. La pancia mai abbastanza. Hanno fame i signori del calcio italiano e lo gridano a squarciagola. Vogliono i “Ristori”, i “Sostegni”. In altre parole: soldi freschi dallo Stato. “È ovvio che ci spettino: continueremo la battaglia” ha tuonato il Presidente del Milan, Paolo Scaroni.
Decreto sostegni ter: 60 milioni di euro per lo sport
Il suo obiettivo? Sparare a zero sul Decreto Sostegni ter, appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale e ritenuto “ingiusto” verso il “calcio in sofferenza”. Il governo Draghi ha messo sul piatto nuovi 60 milioni di euro per lo sport (dopo i 56 di settembre 2021 destinati a ripianare le spese sanitarie dei club e numerose misure negli ultimi due anni su affitti, contributi previdenziali, Imu, associazioni sportive) fra credito d’imposta per gli investimenti pubblicitari (20 milioni), soldi a fondo perduto per tamponi e sanificazione degli spazi per il rispetto dei protocolli Covid (altri 20 milioni) oltre all’incremento del “Fondo unico a sostegno del potenziamento del movimento sportivo italiano”. Per i club della massima serie italiana non bastano.
“Serve l’annullamento delle imposte e molti più ristori per i nostri impianti” dice il numero uno dei rossoneri con fare meno baldanzoso di quando, nemmeno troppe settimane fa, si aggirava per uffici e ristoranti in Galleria Vittorio Emanuele a Milano continuando a parlare degli 1,2 miliardi (1,4 iva inclusa) che le proprietà di Milan e Inter sarebbero pronte a piazzare come investimento sul nuovo stadio di San Siro una volta ottenuto il via libera per un progetto che al momento non esiste e non è depositato.
Serie A: “Senza i ristori rischiamo il default”
Non esistono nemmeno derby e bandiere quando c’è da batter cassa. “Rischiamo il default” e “il sistema è sull’orlo del baratro” risponde a distanza l’amministratore delegato dell’Inter, Giuseppe Marotta. Gli organi della Lega spediscono da mesi lettere e pizzini alla sottosegretaria allo Sport, Valentina Vezzali, nel tentativo di accerchiare il governo e strappare risultati. L’ultima? Quella vergata da Paolo Dal Pino. Che come ultimo atto da Presidente della Lega Serie A (si è dimesso l’1 febbraio per “ragioni famigliari”), ha parlato di intervenire con “misure di effettivo e concreto sostegno delle nostre società che sono al lumicino della resistenza gestionale e che rischiano di gettare la spugna”.
Lega Serie A: i club hanno speso 140 milioni per i Procuratori nel 2020
Quanti soldi vorrebbero, in definitiva, per far passare la mareggiata Covid? Non si sa. E nessuno si degna da dare una cifra tonda. Forse perché se lo facessero dovrebbero anche spiegare come mai solo nel 2020 – l’anno nero della pandemia – l’intera Serie A di calcio abbia staccato cedole per 138 milioni di euro agli agenti sportivi dei calciatori, nonostante già nel 2019 (senza nessun virus) il calcio italiano avesse quasi 5 miliardi di debiti. La classifica degli spendaccioni per i bonus ai super procuratori vede in testa vede la Juventus (20,8 milioni) davanti a Roma (19,2), Milan (14,3) e Napoli (12).
Calciomercato, 1,3 miliardi spesi in tre anni
Per non parlare del mercato invernale chiuso in queste ore prima della ripartenza del campionato: un conto complessivo da 200 milioni con i “colpi” Gosens all’Inter (25 milioni) e Vlahovic ai bianconeri per 70 milioni più 5 di bonus, 7 milioni di ingaggio netti a stagione e una commissione monstre da 15 milioni per il procuratore serbo del giocatore, Darko Ristic. Solo nell’ultimo triennio Inter, Roma, Milan e Juventus hanno speso in totale 1,3 miliardi di euro in campagne acquisti. Non male per un sistema a “rischio default”.
FIGC, bilancio 2021: “230 milioni di ricavi, miglior risultato di sempre”
Il fuoco incrociato delle dichiarazioni ha però prodotto qualche effetto: l’ok del governo all’apertura di un tavolo tecnico per la definizione di ristori al mondo del calcio sui danni causati dalla pandemia, ha fatto sapere la Figc guidata da Gabriele Gravina. Che se da una parte è dilaniata dai conflitti con le società con la fronda guidata dal patron laziale Claudio Lotito e altri 12 Presidenti di Serie A per le nuove norme statutarie della Lega, dall’altra sono tutti uniti come non mai quando c’è da chiedere soldi allo Stato piangendo miseria sul latte (e i debiti) versato.
“Non può accadere che non arrivino” (i ristori NdR) ha detto Gravina puntando sul solito mantra: siamo Pil ed economia. Certo, la Federazione registra gli sbalzi d’umore dei club ma ha ben poco da lamentarsi almeno per i propri di conti. Con un valore della produzione a 229,4 milioni di euro nel 2021 “ha registrato il miglior risultato di sempre. Soltanto nell’anno 2006, in cui la Nazionale A vinse il Campionato del Mondo, fu superato il tetto dei duecento milioni di euro”. Così hanno scritto nella relazione alla variazione del Budget 2021 approvata dal Consiglio Federale lo scorso 25 novembre a Roma che mostra tutti segni positivi rispetto ad attese e previsioni. Merito soprattutto dei “contributi Uefa per la vittoria del Campionato Europeo 2020” e dei bonus per le quattro gare disputate allo Stadio Olimpico di Roma.
Gravina (FIGC): “Raggiunta l’autonomia finanziaria con il brand”
Ma anche dell’aumento dei ricavi commerciali, raggiunti con pubblicità e sponsorizzazioni, a 58 milioni di euro. Con tanto di bonus dallo sponsor tecnico della Puma per la vittoria dell’Europeo. Ottenuti nell’anno in cui la Figc ha registrato a bilancio una maxi rivalutazione, da 1 a 18 milioni, del proprio marchio commerciale (“Italia Figc”) grazie a una norma fiscale iper vantaggiosa dei governi Conte e Draghi che offriva la possibilità di rafforzarsi patrimonialmente pagando una tassa del 3%. È la “la valorizzazione del nostro brand” ha detto Gravina parlando del budget 2022 appena presentato e di una raggiunta “autonomia finanziaria che prescinde dai risultati sportivi”. In Federazione si può sorridere. Le squadre? Un po’ meno fra stadi chiusi, capienza limitata, campionati a singhiozzo e via dicendo.
Serie A, gli stipendi dei dirigenti crescono del 16% nel 2021
Ma attenzione a distinguere fra i bilanci disastrati delle società di calcio (che comunque quando servono i soldi li trovano come per le due maxi ricapitalizzazioni della Juventus targate Agnelli-Elkann da 700 milioni di euro in tre anni, la prima per sognare in grande e la seconda per tappare i buchi) e invece i floridi conti personali dei manager che quelle stesse società guidano. E che oggi vanno a Roma col cappello in mano.
Conti personali che, pandemia o non pandemia, brillano sempre. Le buste paga dei dirigenti per la stagione 2020-2021 sono risultate più “pesanti” di quella precedente nonostante i rossi a bilancio. Solo tra le le società più importanti del panorama calcistico italiano (Juventus, Milan, Inter, Roma, Lazio e Napoli) emerge come i compensi ai dirigenti siano cresciuti in un anno del 16%, toccando quota 12,7 milioni di euro. Il “Paperone” per eccellenza è stato Fabio Paratici, ormai ex capo dell’Area sportiva dei bianconeri, che ha segnato un triennio di affari folli per la Vecchia Signora, con i parametri zero strapagati e gli scambi su presunti top player valutati milioni di euro solo per registrare plusvalenze con il sistema cosiddetto “a specchio”. Prima di volare a Tottenham dove i tifosi londinesi non gliene fanno passare una liscia (“non sa nemmeno lui come ha fatto” lo ha sbeffeggiato Antonio Cassano su BoboTv) si è portato a casa uno stipendio in Italia da 2,6 milioni di euro netti, cinque volte tanto la “paga” degli stessi Andrea Agnelli (512mila euro) e Pavel Nedved (436mila).
Napoli Calcio e i De Laurentiis: 32 milioni alla famiglia in 15 anni
Ci sono anche proprietari che si sono arricchiti personalmente dal calcio. È il caso della famiglia De Laurentiis. Che se ha il merito di aver risollevato le sorti della storica franchigia partenopea, dal 2005 al 2020 si è anche staccata la bellezza di 32,5 milioni come forma di compenso al consiglio di amministrazione a “gestione famigliare”, dove 4 componenti su 5 portano il cognome De Laurentiis o sono imparentati. Tra i manager invece dietro Paratici la “classifica” vede l’ex amministratore delegato della Roma, Mauro Baldissoni, con 1,5 milioni di euro, come anche Beppe Marotta con l’Inter. Poi Paolo Scaroni al Milan e Claudio Lotito (Lazio) con 600mila euro.
Plusvalenze, la guerra di Claudio Lotito all’Agenzia delle Entrate per non pagare le tasse
È lo stesso Lotito che per un decennio si è fatto alfiere della battaglia contro l’Agenzia delle Entrate sulle plusvalenze della Lazio per impedirne l’assoggettamento fiscale ai fini Ires/Irap con una curiosa e creativa interpretazione legale – tutta da leggere – portata avanti dai suoi avvocati. In sostanza non volevano pagarci le tasse. Hanno perso, definitivamente nel 2019. C’è da sperare che non chiedano i ristori anche per le spese legali.